Breve triste cronaca di un fatto avvenuto ma, per quanti lo conoscevano, grande costernazione. Al dolore immenso del padre che lo ha sempre seguito e condiviso nella passione per le prove e per la caccia ed ai suoi cari, noi tutti amici cinofili ci stringiamo in un solidale abbraccio consolatore.
Nel bene e nel male, di Gian Mario Anelli cinofilo, se nè potrebbe a lungo parlare: due pointer campioni e la presenza in Belgio con i due suoi cani un setter inglese e un pointer a rappresentare l'Italia in Coppa Europa e con moltissime altre sue affermazioni, egli una piccola traccia in
cinofilia l'ha lasciata. E quindi ad altri demando il compito di parlarne più dettagliatamente: io lo voglio ricordare quando insieme, abbiamo cacciato in montagna.
Ci siamo conosciuti all'inizio dell'anno 1975 e diventammo preso amici, cacciammo per due stagioni venatorie, con lui, con il padre e il nostro, comune amico Ettore Cerrito, nell'Alta Valle Stura di Demonte (CN). Lassù al contatto delle immense e splendide vette alpine, colsi i moltissimi lati positivi che aveva e capii che era la sua timidezza a farlo sembrare scontroso. Un giorno lo vidi giore e commuoversi quando il giovane pointer Green di appena un anno, cacciando da veterano fermò il suo primo forcello, in seguito questo cane che lui aveva cresciuto, allenato e condotto in prove, come sempre aveva fatto con gli altri suoi cani, diventò Campione Assoluto e per due volte rappresentò l'Italia in Coppa Europa. Alla fine dell'annata venatoria, non essendo riuscito a sparare a nessun forcello pur avendone avuta l'opportunità, ci disse "La montagna giustamente mi ha voluto punire, l'ho affrontata con poca umiltà, ed essa pur facendomi vedere i suoi rari frutti, non mi ha permesso di
raccoglierne alcuno"
Un giorno che con la neve, non potendo cacciare la piuma, andammo in Rio Freddo, zona impervia a cercare di fare delle foto ai Galli, questi sotto la neve in mezzo ai rododendri, pasturano e se disturbati escono fuori come scheggie e riuscirli a fotografare era il mio desiderio più grande. Eravamo con i nostri fucili carichi con le pallottole, infatti il camoscio si poteva cacciare e quindi se ci fosse capitato l'opportunità, potevamo spararci; il mio pointer Asso mi accompagnava e quindi per non disturbare loro che nella vallata in mezzo allle rocce sbinoccolavano per cercare i camosci, mi distanziai, mentre salivo il crinale affiancando dei larici, camminando sulla neve, mettevo i piedi nella parte rosa dove picchiava il sole e facevo attenzione a non camminare in quella zona ombrosa celeste perchè era ghiacciata; quando sentii nella vallata un sparo, poco dopo vidi tre camosci che venivano verso di mè, per poterli fotografare mi inoltrai nei larici e tutto ad un tratto scivolai verso il basso, cercai disperatamente di tenermi ma, prendevo sempre più velocità, il mio cane credendo che giocassi, mi saltava e mi ringhiava, sapevo che a 70 metri circa, vi era un burrone, ma io continuavo a non potermi fermare; in quel momento mi venne in mente mia madre e la mia famiglia,dopo circa 30 mt. passando su dei pini mughi riuscii a grapparmi e mi fermai proprio sul ciglio del baratro; dal basso Gian Mario e suo padre mi gridarono di stare fermo, io ubbidii, dopo 15 minuti mi raggiunsero e dicendomi dove mettere i piedi, piano piano li raggiunsi, andammo a recurare il mio fucile che nella caduta era scivolato in basso per poi cadere nel vuoto a 150 mt. lo trovai era piantato nelle neve ma, non rotto, la macchina fotografica era indenne e io pure e quindi un'avventura da raccontare.
Quel giorno insieme a noi a caccia con un permesso speciale invitammo pure Eugenio Girandola, lui era amante della caccia agli ungulati e proprio lui aveva avuto l'opportunita insieme alla guardia di andare a recuperare il camoscio ferito dal nostro compagno di caccia Orazio Giavelli,questi gli aveva sparato a circa 150 mt. con il suo drilling e lo aveva preso.
Ritornammo a casa mia a Vinadio, dissi loro di non dire niente a mia moglie di quanto mi era successo: mi guardavo le mani che erano senza unghie ed insanguinate, le cartucce dentro alla ventriera erano con l'ottone fresato,mi recai in cucina a salutarla e alla bella e meglio feci finta di niente, come sempre lei ci aveva preparato un brodino caldo, ma, dopo la prima cucchiaiata, incominciai a tremare e il cucchiaio mi sfuggì dalla mano, Rita preocupata mi abbracciava e domandava ai presenti cosa fosse successo, mi calmai e le raccontai tutto, infine finì tutto in gloria e festeggiammo con un brindisi, la mia fortuna .di essere ancora lì con loro.
La testa del camoscio la portammo da un tassidermista e oggi fa bella mostra di sè, nel salotto di Eugenio Girandola, egli per ringraziarmi mi invitò a una cacciata nella sua riserva. e questo sarà un'altro racconto.
Questo per dire quanto sia inprevedibile la vita, ieri ero io che potevo morire e oggi sono quì per raccontarvi il funerale di un caro amico.
In mesto silenzio, lo abbiamo accompagnato sino al piccolo cimitero di Pizzichetone. Egli addesso riposa nella tomba di famiglia, accanto alla sua cara mamma, anchessa morta prematuramente all'età di trentottto anni, la stessa età di Gian Mario.
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