Nel corso della selezione e, quindi, della evoluzione del Bracco Italiano sono entrati in gioco fattori ambientali, climatologici, alimentari e di esigenze sociali, che, come tasselli appartenenti a un gigantesco e complesso puzzle, incastrandosi perfettamente, ne hanno determinato, nel corso dei secoli, la funzionalità che è il risultato di complesse selezioni indotte. L’uomo assegnando la procreazione ai soggetti più efficienti, in relazione a specifiche scelte, ne ha determinato la struttura cerebro-morfologica. Se ne deduce che il Bracco Italiano è quello che è perché funzionale a superare meccanicamente gli ostacoli che si sono interposti tra esigenze venatorie ed efficienza. “La funzionalità di un organismo vivente è il complesso delle caratteristiche anatomico-fisiologiche, che si sono evolute nel corso di numerose generazioni”. (Charles Darwin Shrewsbury, Shropshire 1809 - Down, Kent 1882)
Ergo, la scultura morfologica viene modellata dalla funzionalità e la funzionalità altro non è che tutto l’apparato fisiologico-sensitivo e meccanico-motorio al servizio di un determinato scopo. Raggiunta la panmissi, nel Bracco Italiano, si è lavorato e si lavora, su un pool genetico dove conta più la qualità che la quantità.
Tuttavia alcuni “Baroni” lo vorrebbero più diffuso tra i cacciatori per mere questioni economiche e commerciali. Lo vorrebbero come? Vorrebbero adattare la sua taglia alle esigenze pratiche dei cacciatori e dei cofani delle loro automobiline; lo vorrebbero più agonistico; lo vorrebbero più nevrile. Teorie aberranti!
La strategia vincente dell’accuratissima selezione (mi riferisco a quella attuata in quest’ultimo quarantennio), sta proprio nell’equazione quali-quantitativa che ha permesso la individuazione dei soggetti fenotipici più vantaggiosi i quali, accoppiandosi e procreando, hanno moltiplicato i propri geni mantenendo il genotipo in ottimo stato di salute. La sopravvivenza del genotipo è stata garantita solo dalla produzione dei fenotipi in possesso delle qualità funzionali più vantaggiose (quali il tipo di pigmentazione dell’ occhio, l’equilibrio mentale, la simmetria e il colore del manto, la massa muscolare, oppure la spiccata capacità al trotto spinto, al portamento, alla solidità della ferma, al consenso spontaneo, ecc..), permettendo alla razza di conservare il proprio patrimonio ereditario. La funzionalità può, dunque, essere considerata come la somma aritmetica di tanti fenotipi che hanno favorito la duplicazione dei geni da cui essi stessi hanno avuto origine, essendo sottoposti a forze selettive, determinate a loro volta da specifiche esigenze contestuali.
Oggi, si sentono suonare campanelli d’allarme un po’ ovunque e ciò sta significare che esiste una schiera braccofila che agogna un bracco più snello, con giogaia poco vistosa, con pelle meno abbondante, con orecchie più corte. E’ innegabile che è cominciata una selezione di tendenza, dato che già si possono osservare (di traverso per quanto mi riguarda) soggetti portatori di queste nuove caratteristiche morfologiche. Una schiatta, frutto di una futura clamorosa débâcle.
Non arrivo a trovare il nesso, né logico né scientifico, a queste frenesie di cambiamento; non arrivo a comprendere quale sia il disegno ultimo dei propugnatori del bracco snello, asciutto, più piccolo e più veloce, se non quello di ottenere brutte copie di razze fermatrici già esistenti e ampiamente diffuse.
La manipolazione selettiva che tende a modificare la struttura, o parte di essa, in una specie, ancorché spinta da scopi ben precisi, non è, tuttavia, sempre immediatamente comprensibile. I rischi di nuovi disegni morfologici e strutturali fanno pendere il piatto della bilancia, onusto di enigmi, dal lato delle incognite.
Più propriamente, così agendo, si accettano eventi ologenetici e ci si espone alla perdita irrimediabile dei traguardi vantaggiosi fin qui raggiunti.
Qual’è il limite al quale si possono spingere i nostri allevatori di Bracchi Italiani in relazione alle nuove e, dico io, pericolose tendenze senza correre il rischio di ritrovarci tra le mani un fermatore che del Bracco Italiano porti solo il nome?
Quali sono le garanzie che offre una selezione esasperata se non quella di smagliare la funzionalità raggiunta fin qui dal nostro Bracco?
Cosa potrebbe succedere apportando una benché minima modifica morfologica?
Estinguere l’unica (insieme allo Spinone) razza da ferma trottatrice del mondo; la Siberia dei braccofili!
E’ nel trotto che stabula l’essenza del Bracco Italiano. Il suo portentoso incedere è la risultanza di informazioni complesse, che partendo dagli organi preposti a questo compito (orecchio, pelle, occhi), arrivano al cervello, per essere poi elaborate e trasformate in una sorta di equilibrio dinamico che lo porta a trottare.
L'orecchio, oltre ad essere l’organo preposto a raccogliere le onde sonore, è un sistema complesso di cavità e di condotti pieni di liquido, chiamati canali semicircolari. I canali semicircolari e il vestibolo sono gli organi deputati al mantenimento del senso dell'equilibrio. Le ciglia delle cellule presenti in questi canali, simili a quelle delle cellule che formano l'organo di Corti, rispondono alle variazioni di posizione della testa.. I canali semicircolari si estendono dal vestibolo più o meno ad angolo retto uno rispetto all'altro e fanno registrare agli organi di senso i movimenti della testa in ciascuno dei tre piani spaziali: su e giù, avanti e indietro, a destra e a sinistra. Sopra le cellule ciliate del vestibolo sono disposti alcuni cristalli di carbonato di calcio, gli otoliti. Quando si inclina la testa, gli otoliti si spostano e le ciglia poste sotto di essi registrano il mutamento della pressione. L'organizzazione delle cellule ciliate, informa il cervello dell'altezza del suono e dello spazio. Anche gli occhi e alcune cellule sensoriali della pelle e dei tessuti interni contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio.
Il Bracco trotta perché sicuramente è in possesso di un senso di equilibrio, che risiede nelle cavità dei suoi orecchioni, maggiore che negli altri cani da ferma. Tant’è che il galoppo, per una questione di forza cinetica, abbisogna di minore equilibrio, minori elaborazioni cerebrali e tanto più è la velocità dei galoppatori tanto meno sarà il senso di equilibrio e tanto meno le elaborazioni cerebrali. Una modifica sostanziale alla estensione della pelle e/o all’orecchio potrebbe irrimediabilmente modificare gli organi deputati al mantenimento del senso dell'equilibrio, facendo così snaturare non solo l’andatura ma anche il portamento della testa. Come dire aver completamente modificato una razza!
Il Bracco Italiano oggi ha raggiunto adattamenti che rappresentano le soluzioni più vantaggiose, plasmate dall’opera selettiva dell’uomo, di problemi altamente specifici posti dalla complessità dell'ambiente, nei suoi aspetti biologici, fisici, chimici, ecologici, venatori e sociali. Problemi che gli antenati del nostro Bracco hanno incontrato e risolto nel corso della loro storia (perché di storia ne ha da vendere!!), trasmettendo le funzioni selezionate positivamente alle generazioni successive. Quindi, ciascun Bracco Italiano custodisce, al proprio interno, le tappe di sviluppo che gli hanno permesso di giungere, così e com’è, fino ai giorni nostri. Questo è il Bracco Italiano: fiero, imponente, trottatore; dispettoso, caparbio, dolce; orecchiuto, bavoso, languido; affettuoso, altero; cacciatore, ragionatore e filosofo.
Io lo voglio così.
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