Ciò che rende la Prima guerra mondiale diversa da qualunque guerra precedente, al di là dell’estensione intercontinentale e del coinvolgimento internazionale, furono soprattutto il livello di mobilitazione delle nazioni coinvolte (la cosiddetta mobilitazione totale, qualcosa di inimmaginabile al giorno d’oggi) e le caratteristiche tattico/strategiche del conflitto: una guerra di posizione e di logoramento dalle immani proporzioni. Guerra di logoramento, vale a dire guerra di esaurimento: la vittoria poteva giungere (e giunse) solamente con il letterale esaurimento delle forze avversarie. Quando gli Imperi centrali infine collassarono, dopo 51 mesi di guerra, gli stati maggiori tedesco e austro-ungarico non erano ormai da tempo in grado di sostituire caduti e feriti, perché non c’erano più uomini da chiamare alle armi! E ancora più drammatiche erano le condizioni degli approvvigionamenti di ogni genere di prima necessità, dai viveri al semplice vestiario, tanto per le truppe al fronte quanto soprattutto per la popolazione civile.
Ma quando si parla di guerre, la crudezza dei numeri (approssimativi, perché le dimensioni del conflitto fecero letteralmente perdere il conto dei morti e non solo) vale da sola più di tante parole. Perciò eccone alcuni, a cominciare dai caduti:
·Russia 1.700.000/2.500.000<O:p</O:p
·Germania 1.800.000<O:p</O:p
·Francia 1.350.000<O:p</O:p
·Austria-Ungheria 1.300.000
·Gran Bretagna 750.000<O:p</O:p
·Italia 650.000<O:p</O:p
·Romania 300/350.000
·Turchia 300/350.000
·Serbia 300/350.000
·Stati Uniti 100.000
·Bulgaria 100.000<O:p</O:p
·Australia 60.000
·Canada 60.000
·Belgio 50.000
·India 50.000
·Nuova Zelanda 16.000<O:p</O:p
Complessivamente furono coinvolti 28 Paesi e mobilitati 65 milioni di uomini. In Italia, su 36 milioni di abitanti (di cui un sesto, però, emigrati), furono chiamati alle armi quasi 6 milioni di uomini, vale a dire tutti i maschi abili delle classi 1874-1900. Circa 4.200.000 (l'11,6% della popolazione, oltre la metà dei maschi tra i 18 e i 40 anni!) servirono in reparti combattenti, con una forza media al fronte di circa 2 milioni di uomini. I caduti a tutto il 1918 furono 500.000 (di cui un quinto per malattia), 600.000 caddero prigionieri (100.000 non fecero ritorno a casa) e 50.000 morirono dopo il 1918 per cause di guerra. Gli invalidi permanenti furono 452.000. Numerosi i sudditi di nazionalità italiana che servirono nell’Imperial-regio esercito: circa 60.000 trentini risposero alla chiamata alle armi austriaca, un migliaio di fuoriusciti si arruolò invece nell’Esercito italiano. Circa 30.000 italiani (trentini, triestini, giuliani e dalmati) caddero prigionieri in Galizia, sul fronte orientale; 2.500 ebbero la libertà accettando di imbracciare nuovamente le armi, ma sotto la bandiera italiana.
Impressionante lo sviluppo delle industrie belliche e degli apparati a sostegno di una tale massa di soldati in una guerra di logoramento. Nel 1918, quando l’esercito italiano raggiunse il massimo livello di forza e i più brillanti risultati in termini di organizzazione, addestramento e comando, schierava 700 battaglioni (contro i 548 del ’15), 20.000 mitragliatrici (600 appena nel ’15), 7.700 pezzi d’artiglieria e 1.200 bombarde (2.100, tutto compreso, nel ’15). Uno sguardo alla produzione bellica italiana complessiva 1915-1918 rende bene l’idea dello sforzo: fucili e moschetti: 3.135.000; mitragliatrici: 37.000; bombarde: 7.000; artiglierie di vario calibro: 16.000; munizioni cal. 6,5 mm: 3.616.000.000; munizioni per bombarde: 7.300.000; munizioni per artiglierie: 70.000.000; bombe a mano: 22.360.000.
I tre anni di guerra costarono allo Stato italiano qualcosa come sedici bilanci annuali in tempo di pace. Approssimativamente, le spese di guerra dei belligeranti ammontarono a 210 miliardi di dollari complessivi.
Una strage senza precedenti. Un dramma collettivo intessuto da infiniti drammi personali. E non portò a nulla più che una pace precaria e la promessa di nuove guerre, nuove stragi, nuovi drammi.
Non so voi, ma ogni volta che mi trovo a passare nel centro di una città o di un qualsiasi centro abitato della Penisola, il mio sguardo cerca quasi istintivamente il monumento ai caduti. Pensateci bene, non esiste comunità per quanto piccola che non abbia dedicato un monumento, una lapide o un semplice cippo ai suoi figli morti in guerra, così come non esiste famiglia che non abbia versato sangue! Certo, molte epigrafi e perfino sculture traboccano di una retorica a volte stucchevole, sicuramente datata. Ma quante madri, quante mogli, quanti figli e fratelli hanno visto partire qualcuno e ne hanno aspettato invano il ritorno?? Penso che quei monumenti, per costoro, avessero un significato ben più profondo delle belle parole di un oratore: non avevano tombe su cui piangere, non avevano nulla fuorché un nome inciso in lettere di bronzo su quel monumento! E quei nomi, quei cognomi e quelle date sono ancora lì, anche per noi, basta ritagliarsi un breve momento nelle nostre giornate affannate per leggerli, sussurrarli, e sembra quasi sentirli rispondere “non dimenticarti chi ero, non dimenticarti perché sono morto”. E poi, allargando lo sguardo, si scopre che a quell’elenco è stata poi aggiunta un’appendice: sono gli altri caduti, quelli dell’altra guerra. Stessi nomi, stessi cognomi, stessa giovane età...cambiano solo le date, ma passa appena un ventennio tra gli uni e gli altri, un nulla! E allora ci si rende conto di quanto poco ascolto gli uomini diano al passato.
P.S.: mi scuso sinceramente per il papiro, ma non sono riuscito a limitarmi più di tanto! Spero non me ne abbiate. [:D]
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