Cambio di passo per evitare la deriva venatoria

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  • Marco Ciarafoni
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    • Jul 2006
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    • Roma, Roma, Lazio.
    • allevo bracchi italiani con l'affisso del Borgorosso

    #1

    Cambio di passo per evitare la deriva venatoria

    Sul prossimo numero di Caccia+, in edicola già dalla fine del mese, saranno pubblicate, nell'articolo di fondo, alcune mie riflessioni sull'attuale situazione della caccia. Nel segnalarvelo invio a tutti voi i miei più sinceri auguri di buone feste.
    Marco Ciarafoni

    Cambio di passo per evitare la deriva venatoria
    L’anno che ci siamo lasciati alle spalle purtroppo non potrà essere archiviato come l‘ultimo e tantomeno il peggiore per la caccia e per i cacciatori italiani. Ci vorrà del tempo ed un deciso cambio di passo, dentro e fuori il mondo venatorio, per far riemergere equilibrio e responsabilità.
    Oggi il caos e il conflitto sono imperanti e sono il frutto, in primis, di tattiche e strategie sbagliate che una parte dell’associazionismo venatorio ha messo ripetutamente in campo in questi ultimi anni per ragioni di propaganda o ancor peggio quale atto di servilismo verso politici imbroglioni e interessati alla loro comoda poltrona tanto più che nello schieramento di appartenenza hanno dimostrato di non avere alcun peso decisionale.
    I velleitari atti di forza, sbandierati in ogni dove, sono rimasti (fortunatamente) al palo come al Senato nel caso del testo di legge unificato di revisione della legge 157 oppure hanno prodotto limitazioni ulteriori al calendario venatorio e ricorsi come dimostrano gli avvenimenti successivi all’approvazione dell’articolo 42 della legge comunitaria. Senza contare che le furbizie amministrative e legislative di alcune regioni, condannate per il loro illegale comportamento dalla Commissione di Giustizia Europea, hanno determinato la sostanziale impossibilità di regolamentare il prelievo venatorio in deroga anche verso quelle specie, come lo storno o il cormorano, che avrebbero bisogno di essere contenute per fronteggiare adeguatamente il rischio di gravi danni alle colture agricole e alle produzioni ittiche. All’orizzonte inoltre si preannunciano giri di vite per la legislazioni sulle armi (norme più rigorose per l’acquisto, la detenzione e il trasporto nonché per il rilascio del porto di fucile, annualità ridotte comprese) e sul benessere animale (caratteristiche diverse per canili, carrelli e gabbie ma anche l’eventualità che il divieto del taglio della coda possa riguardare anche le razze da caccia).
    Il danno più grande è però di ordine culturale. Sembra ormai lontana un secolo la fase successiva all’approvazione dell’attuale legislazione sulla caccia ancorché quelle norme introdotte favorirono non solo la pacificazione sociale dopo gli anni bui della raffica referendaria ma anche il profilo di dignità e di utilità della caccia prossima al nuovo millennio. D’altronde la legge 157 nasceva, quale ultimo atto degli storici partiti della cosiddetta prima repubblica (Dc, Pci, Psi e via dicendo), per disegnare un sistema venatorio che affonda le radici nella cultura rurale e che risponde agli interessi del Pese in termini di tutela dell’ambiente e di conservazione del patrimonio faunistico. Una caccia di qualità basata sul rapporto tra il cacciatore e il territorio, rispettosa delle regole nazionali e comunitarie, sulla collaborazione e sulla condivisione tra i diversi soggetti associativi e in stretta sintonia con le indicazioni della scienza. Via via la degenerazione è avvenuta per colpa di quelle amministrazioni regionali e provinciali che hanno preferito mantenere lo sguardo rivolto al passato piuttosto che cimentarsi con l’impegnativo ruolo di pianificatori e gestori del territorio agro silvo pastorale magari continuando ad esercitare una effimera funzione di dominus attraverso inservibili ed inefficaci ripopolamenti di selvaggina “pronta caccia”. Al grido di “più tempi, più tempi e più spazi” od anche “libera caccia in libero territorio” anche l’associazionismo ha fatto da tappo all’applicazione della riforma. Molto più semplice scaldare le mani e gli animi dei propri soci con proposte irrealizzabili piuttosto che dare concretezza alla gestione del territorio mettendo a disposizione degli Atc e dei Ca personale qualificato e competente in grado di guidare quegli organismi nel lavoro di ripristino degli habitat, di produzione di fauna selvatica allo stato naturale, di rafforzamento in campagna dell’alleanza con l’impresa agricola multifunzionale. Solo poche regioni e poche province hanno fatto il loro dovere e solo in una parte degli Atc e dei Ca è stato possibile registrare risultati positivi. Nello sperpero di denaro pubblico e nell’insoddisfazione dei cacciatori trova spazio la politica affaristica e degli interessi personali. Nel Paese delle elezioni ogni sei mesi c’è sempre qualcuno che deve essere eletto a Strasburgo, in una delle due Camere o in qualche consiglio regionale. E allora nasce il gioco di chi la spara più grossa, di chi promette la luna nel pozzo, di chi per una manciata di preferenze fa ascoltare in diretta la telefonata del “presidente cacciatore” poi divenuto “presidente animalista”.
    Chi osa ostacolare il percorso demagogico viene bollato come il peggior nemico dei cacciatori e viene additato al pubblico ludibrio. Sono infami e traditori coloro che invitano a rimanere con i piedi per terra, a procedere con cautela e a trovare intese bipartisan e concertate. Lo scranno da conquistare non richiede mezze misure o moderazione ma ha bisogno di annunci urlati e di fiancheggiatori con il megafono. Ed allora, come sempre, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Lo spazio politico c’è: in parlamento non ci sono più i Verdi e l’animalismo non ha una rappresentanza diretta. Lo spazio sociale pure: nella pubblica opinione, molto attenta ai temi ambientali, torna a riemergere una corposa sensibilità contraria a “caccia selvaggia”.
    Ci pensa il ministro Brambilla, ben spalleggiata in consiglio dei ministri (come dimostrano gli atti e le bocciature delle leggi regionali) dai suoi colleghi Prestigiacomo, Bondi, Frattini, Martini, La Russa e dal premier in persona che invia una lettera di ringraziamento per il buon lavoro svolto nella campo della difesa degli animali, a dare corpo e voce alla crociata anticaccia. Alla Camera dei Deputati inoltre è forte il gruppo dei parlamentari del centrodestra che assecondano il ministro del Turismo nella completa assenza politica ed istituzionale dei ministri delle Politiche Agricole succedutisi, da Zaia a Galan, entrambi rei di essersi fatti scippare la loro specifica delega e di aver fatto approvare atti, quale il documento nazionale sulla Biodiversità, o di aver visto nascere task force governative (“Italia, amica degli animali”) senza dare nessun barlume di resistenza.
    In questo contesto nasce il doppio binario anticaccia progettato nelle stanze del ministero del Turismo e con i soldi di tutti i cittadini al quale con troppa disinvoltura e poca lungimiranza hanno dato spazio e sostegno alcuni settori ambientalisti. Si mira a colpire al cuore della legislazione italiana, al cuore della caccia sociale e sostenibile. Si chiede con un progetto di legge già depositato alla Camera (Catanoso e altri) di abrogare di fatto l’articolo 842 del codice civile che consente ai cacciatori, a determinate e rigorose condizioni previste dalla legge 157 di entrare nei fondi privati, di raddoppiare le distanza minime di svolgimento della caccia da immobili, fabbricati, strade e quant’altro, di non inserire nella ripartizione del 30% territorio protetto le fasce di rispetto e i territori esclusi alla caccia dai singoli proprietari, di estendere il regime sanzionatorio penale per le violazioni di caccia nelle aree a divieto, comprese le nuove pertinenze. Insomma da una parte si intende restringere notevolmente il potenziale terreno di caccia (pensate per un attimo a quante case con il raddoppio delle distanze si trovano in linea d’aria a 600 metri l’una dall’altra: 300+300) e dall’altra parte di consentire liberamente di apporre il divieto di caccia dovunque un proprietario lo ritenga necessario ovvero di consentire l’attività venatoria secondo uno schema consumistico e mercantile.
    Una vera e propria rivoluzione che se approvata scardinerebbe l’impianto pubblicistico della caccia italiana e quelle norme fondamentali (fauna patrimonio indisponibile dello stato, pianificazione faunistica e limitazione sociale del diritto di proprietà) che consentono al nostro Paese di essere all’avanguardia in Europa e nel mondo per le leggi ambientali e venatorie.
    Serve dunque un cambio di passo. Bene hanno fatto coloro (Arcicaccia e Italcaccia) che fin dagli albori si sono opposti alla manovra destabilizzante e positivamente va inquadrato il sondaggio che l’associazione degli armieri e le associazioni aderenti a Face Italia hanno commissionato e che porta alla conclusione che nel nostro Paese non c’è spazio per una caccia “senza freni e senza limitazioni” ma solo per una caccia “normata, limitata, responsabile e sostenibile, escludendo le specie animali, le zone, i periodi dell’anno protetti”. Semmai ora a coloro che utilizzano questi dati per una giusta campagna di informazione vi è da chiedere coerenza di comportamento e scelte conseguenti.
    La prima delle quali non può che essere il ritiro al Senato del disegno di legge Orsi e l’inizio della discussione alla Camera del progetto di legge presentato dall’on. Cenni di tutela delle produzioni agricole dai danni arrecati dalla fauna selvatica. Un proposta che è stata ben accolta da molte organizzazioni e che potrebbe trovare un consenso maggioritario e trasversale in Parlamento.
    La seconda necessità è quella di ripartire da contenuti condivisi per giungere ad una nuova stagione unitaria tra quelle associazioni che prese le distanze da politiche oltranziste guardano al futuro della caccia partendo dalla valorizzazione del lavoro degli Atc e dei Ca.
    Staremo a vedere
    <O:p</O:p

    Marco Ciarafoni
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    Ultima modifica Marco Ciarafoni; 22-12-10, 12:32.

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