foto da : https://m.facebook.com/topgunsadvent...pe=3&source=54
Mentre la vita si “allunga” e i capelli si diradano, se ti guardi alle spalle i ricordi ti portano sempre qualche struggente nostalgia.
Questa volta, però, il girovagare della memoria mi ha riportato presso radici che credevo dimenticate.
Mi sono ricordato, senza un perché, un episodio che ha pesantemente contribuito alla mia formazione morale nel passaggio da bambino a uomo.
Avevo poco più di undici anni. Allora nessuno si scandalizzava nel vedere un lattonzolo con i calzoni corti gironzolare nelle campagne, ma anche per le vie del paese, portandosi dietro una “micidiale” Mondial cal 4,5mm. Le brame si concentravano, però, sui fucili da caccia che vedevi portati a tracolla dai grandi che in bicicletta si dirigevano verso la campagna. Ho ancora nelle narici il profumo delle multicolori cartucce di cartone che raccattavo, odorose di polvere da sparo. Ci facevo certe “tirate” da fare invidia ad un cocainomane. Le raccoglievo in tutti i calibri, dal 12 al 36 sempre chiedendomi che cosa significassero delle numerazioni così astruse, dove al numero più grande corrispondeva un “calibro” più piccolo…. Però il profumo era sempre inebriante, grandi o piccole che fossero.
Poi c’era sempre il più fortunato che sfoggiava con alterigia una Diana 27 che era comunque obbligato ad abbassare le orecchie al cospetto di quello che ostentava una 35.
L’apoteosi della bramosia la provai quando un cacciatore, amico di un mio cugino, maggiore di me che accompagnavamo in qualche fugace mattinata di caccia, mi permise di imbracciare (scarico) un S 55 BV. Ricordo quell’episodio come…il primo bacio: la bascula leggermente incisa, lo zigrino del calcio e dell’astina, le venature del legno, la bindella con il mirino a perla e quella strana sensazione di guizzante e pulsante vitalità provata nell’imbracciare un oggetto…animato.
Quel giorno di maggio ero intento al più accanito appostamento ai passeri che venivano a posarsi sui pioppi vicino a casa. Erano sempre troppo “lunghi” per la Mondial di cui potevi vedere il pallino in tutta la prima parte della sua incerta traiettoria. Qualche volta, con un po’ di fortuna, ci azzeccavi e la preda poteva, senza esagerazione, sostenere il paragone con un cervo, preso oggi, da 190 punti!
Il signor Luigi, un vicino di casa, mi chiamò con fare pacato ma perentorio. Era uno di quei cacciatori oggetto della nostra ammirazione per via della splendida doppietta Bernardelli Roma. Era grande e grosso ma dal fare bonario, anche per una ben rappresentata pancia che lo ostacolava non poco nel movimento. Era uno dei primi Immigrati dal Veneto nella provincia di Milano del dopo guerra.
“Ascolta”, mi disse nel suo immutabile dialetto veneto posandomi una mano sulla spalla, “le passere i g’à i novei nei nidi. Se ti te le copi adeso i picoli i more! Quando che sarà la stagione giusta più te ne ciapi e più ti sarà bravo!”
Rimasi fulminato da quel rimprovero pacato ma che non lasciava spazio a nessuna giustificazione.
Quell’apparentemente ovvia e banale osservazione, certo insieme ad altre e ben più importanti esperienze di vita, segnò la disciplina morale di un ragazzino undicenne che mai più avrebbe trasgredito certe regole nella vita futura. Non solo a caccia. Anche quando avrebbe diviso la “fede” in S. Uberto con quella in Esculapio.
Un grande cruccio: oggi quando sparo con uno dei pregiati fucili che posseggo, mi ritrovo spesso ad annusare furtivamente la cartuccia. Non ha più lo stesso profumo!
Oizirbaf
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