“Otto giorni prima di morire, dopo una spettacolare orgia di cibo, il presidente francese François Mitterrand ordino un'ultima portata a base di ortolano, un minuscolo canterino dalla gola gialla non più spesso del suo pollice. Una prelibatezza che per lui rappresentava lo spirito della Francia.
Lo staff di Mitterrand supervisionò la cattura degli uccellini selvatici in un villaggio del Sud. Comprato il silenzio della polizia locale, fu organizzata la battuta di caccia, all'alba, con speciali reti a trama fina disposte lungo i margini della foresta Gli ortolani furono chiusi in gabbie e trasportati nel buio di un furgone alla casa di campagna di Mitterrand, a Latche, il luogo delle estati della sua infanzia. Spuntò il sous-chef che trasferì le gabbie all'interno. Gli uccellini furono nutriti per due settimane fino a diventare grassi da scoppiare, poi, tenuti per le zampe sopra un tino di puro armagnac, vennero calati di testa e affogati.
Lo chef li spennò e, dopo averli salati e pepati, li fece cuocere per sette minuti nel loro stesso grasso prima di disporli in una terrina riscaldata.
Quando il piatto fu servito, nella stanza rivestita di pannelli di legno - con la famiglia di Mitterrand, la moglie, i figli, l'amante e gli amici - calò il silenzio. Lui si raddrizzò sulla sedia, scostò la copertina dalle ginocchia, e bevve un sorso di Château Haut-Marbuzet d'annata.
"Vivere è la sola cosa interessante," disse.
Si coprì il capo con un tovagliolo bianco per inalare l'aroma dei piccoli uccelli e, come voleva la tradizione, per nascondere l'atto agli occhi di Dio. Prese gli ortolani e li divorò interi: la carne succulenta, il grasso, le interiora amarognole, le ali, i tendini, il fegato, i reni, il cuore ancora caldo, le zampette, le minuscole ossa del cranio crocchianti sotto i denti.
Impiegò diversi minuti a finire il piatto, il viso nascosto sotto il tovagliolo per tutto il tempo. Con la famiglia che ascoltava lo scricchiolio delle ossa maciullate.
Poi Mitterrand si pulì la bocca, spinse di lato la terrina vuota, sollevò la testa, sorrise, augurò la buonanotte e si alzò per andare a dormire.
Digiunò per i successivi otto giorni e mezzo fino a quando morì.”
[da C.MCCANN Apeirogon: Feltrinelli]
Una scena che sembra uscita da un romanzo decadente e che pure appartiene alla storia recente.
L’ortolano (Emberiza hortulana), oggi classificato come (LC) Least Concern dalla IUCN, non è una specie a rischio globale ma ha subito drammatici cali locali. Le cause principali della riduzione della specie sono rappresentati dall'agricoltura intensiva, che elimina habitat come siepi e boschetti e l'abbandono delle pratiche agricole tradizionali, che ha privato l'uccello del mosaico di ambienti necessari per alimentarsi (Menz et al. 2012).
Non condanno il prelievo in sé, l’uomo ha da sempre condiviso con la natura il diritto al nutrimento ma condanno l’abuso, l’eccesso cieco, la violazione delle regole e del rispetto.
Forse la stessa pratica tradizionale dell’ortolano potrebbe esistere ancora, in forme controllate, con metodi d’abbattimento non cruenti e sostenibili, come parte di una cultura gastronomica che non dimentica la sua origine rurale.
Ma ciò che vediamo nei racconti di Mitterrand, o nei numeri del bracconaggio francese (oltre 30.000 ortolani catturati illegalmente ogni anno), non ha nulla a che fare con la caccia, bensì con la predazione irrazionale, travestita da rituale di lusso.
Il cacciatore moderno deve, al contrario, essere custode e misura, non spettatore del proprio eccesso. La vera nobiltà non è nel piatto ma nel gesto.
E nel saper dire: basta, qui mi fermo
G. Milana



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