Panda con le ali
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Purtroppo anche queste colonne della nostra fauna italiana stanno crollando, come le starne sull'appennino e tante altre specie, ma guai a chi da' la colpa alla caccia ,troppo facile!
Gli animali non possono sopportare lo sfruttamento che piano piano sta insudiciando tutto il mondo e sarebbe bene che qualcuno si desse una ridimensionata ma non i cacciatori,ben alti individui che per i loro sporchi interessi ci portano via il meglio della nostra terra.
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Infatti nell'articolo in questione per la prima volta non danno la colpa a noi ma all'abbandono della montagna, al suo degrado, agli sport invernali, ALLE MOUNTAIN BUKE e ai fuoristrada
Per la prima volta in vita mia leggo anzi che sarebbe ingiusto dare la colpa a noi.
Spero veramente che mi inviino il testo cpmpleto dell'articolo da favi leggere
E' incoraggiante
Se non dovessero mandarmi il testo e se siete interessati andate alla pagina
e chiedete la copia omaggio numero 163 che vi sarà inviata per posta
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Finalmente l'autore mi ha inviato il testo integrale dell'articolo in questione insieme al permesso di pubblicazione
Eccolo:
I panda con le ali
Vittorio Bosser-Peverelli – Osservatorio regionale sulla fauna selvatica della Regione Piemonte
I panda del Piemonte hanno le ali!
Sono uccelli, infatti, alcune delle specie che rischiano di scomparire dalle nostre montagne: i galliformi alpini.
Già, i galliformi di montagna, che insieme alla lepre variabile formano la cosiddetta “tipica fauna alpina”……
Il fagiano di monte, la pernice bianca, il gallo cedrone, il francolino di monte e la coturnice abitano da tempo le nostre montagne, anche se in alcune zone sono diventati rari o si sono definitivamente estinti.
Queste specie infatti vivono in ambienti molto particolari e difficili, che si stanno rapidamente degradando.
La stessa Direttiva 79/409/CEE “Uccelli“ li colloca fra le specie per cui è necessario prevedere apposite misure di tutela.
Sicuramente sono animali che risentono in modo negativo delle attività antropiche: il fuoristrada estivo e invernale, lo sci, gli impianti a fune, la caccia, il cambiamento degli habitat esercitano impatti negativi rilevanti.
E’ quindi fondamentale tutelarli con la massima attenzione, per non perdere definitivamente un importante tassello della biodiversità delle Alpi.
Dei pericoli che corrono queste specie e delle necessarie misure di conservazione si è parlato nel convegno internazionale organizzato dalla Regione Piemonte il 28 novembre a Torino.
I maggiori esperti europei hanno proposto un confronto tra le diverse esperienze maturate sui due versanti dell’arco alpino, con l’intento di approfondire la conoscenza collettiva sui galliformi alpini e di suggerire le migliori soluzioni per la loro tutela.
La situazione attuale
I galliformi che popolano le Alpi appartengono a popolazioni abbastanza isolate rispetto alle altre popolazioni che colonizzano l’Europa.
Questo sostanziale isolamento già di per sé può significare che il loro destino appare segnato, in quanto il rimescolamento genetico è essenziale per la sopravvivenza di ciascuna specie.
Il loro habitat si localizza in territori alpini compresi fra i 1.300 e i 3.200 metri, con ambienti e altitudini leggermente differenti a seconda delle specie.
Anche la natalità non è molto alta, così come la sopravvivenza delle nidiate, che in queste condizioni ambientali difficili consentono appena il ricambio generazionale, ma non un aumento degli individui, come sarebbe auspicabile.
Per due di queste specie il Piemonte è già una zona off-limits: del francolino di monte si osserva ancora qualche presenza (10-100 coppie) nelle Valli Ossolane. Nessuna traccia invece del gallo cedrone, i cui ultimi avvistamenti risalgono ad una trentina di anni fa.
La reintroduzione stessa di questi animali appare, dalle esperienze maturate in altri paesi, alquanto improbabile.
I pericoli incombenti
I galliformi alpini costituiscono un valido indicatore ecologico del livello di degrado dell’ambiente alpino. Possono essere utilizzati efficacemente per monitorare gli effetti dello sfruttamento delle aree montane da parte dell’uomo, in quanto:
sono molto sensibili ai più piccoli cambiamenti ambientali e ai disturbi di natura antropica.;
vivono in ambienti particolarmente fragili e delicati;
sono animali simbolici che esprimono al meglio l’idea di una natura ancora intatta e incontaminata.
Per questo motivi sono definiti “specie ombrello”.
Gli ambienti in cui vivono il fagiano di monte, la pernice bianca, il gallo cedrone, il francolino di monte e la coturnice hanno seguito l’evoluzione del bosco nel corso dell’ultimo secolo. Infatti l’ambiente ideale per questi uccelli è caratterizzato da spazi aperti con presenza di arbusti nani, che offrono cibo e riparo quando il terreno non è coperto da neve, prati e alberi radi.
Il progressivo abbandono delle montagne da parte dell’uomo ha fatto sì che molte superfici a prato e a pascolo siano state completamente ricolonizzate dal bosco, riducendo in modo significativo l’habitat di alcune specie come la coturnice e il gallo cedrone.
Ma ancora di più hanno contribuito al degrado ambientale lo sviluppo delle infrastrutture turistiche per la pratica degli sport invernali.
Oltretutto, negli ultimi decenni alle attività sportive più tradizionali, come l’alpinismo, lo sci alpino e lo sci di fondo, si sono affiancate pratiche molto più impattanti per queste specie come le mountain-bike, lo sci fuori pista, il deltaplano e il parapendio, l’escursionismo con racchette da neve, ed altri ancora.
La presenza continua dell’uomo crea forti azioni di disturbo, soprattutto nel periodo invernale in cui l’animale dovrebbe risparmiare al massimo le energie per sopravvivere.
Non parliamo poi dell’impatto che possono avere le motoslitte o i mezzi fuoristrada su queste fragili specie e sull’ambiente in cui vivono….!
Come ha sottolineato uno dei relatori nel suo intervento al convegno “Il fagiano di monte (e le altre specie) simboleggia bene la situazione conflittuale venutasi a creare tra le aspettative di coloro che intendono sfruttare la montagna per la pratica degli sport invernali e la necessità di conservazione di ambienti particolarmente fragili e sensibili”.
Un caso a parte è rappresentato poi dagli impianti di risalita, in particolare le sciovie, spesso collocate nelle aree più idonee a queste specie, che rappresentano una causa di mortalità paragonabile, se non superiore, a quella causata dall’attività venatoria.
Certamente la caccia, in passato e a livello locale, ha contribuito al declino delle popolazioni dei galliformi alpini, ma difficilmente ha costituito il fattore principale della loro rarefazione.
Inoltre negli ultimi anni si è avuta una maggior attenzione del mondo venatorio per la tutela di queste specie rare, ed è indubbio che la collaborazione dei cacciatori nelle operazioni di censimento, di raccolta dati e di tutela e miglioramento degli habitat si è rivelata preziosa e irrinunciabile.
Fra gli altri fattori che influenzano negativamente la presenza dei galliformi sulle nostre montagne vanno anche ricordati la predazione naturale, il pascolo intensivo e i cambiamenti climatici in generale.
Misure di tutela
Appare subito chiaro che è necessario un grosso sforzo per invertire la tendenza che sembra condannare alla scomparsa i nostri “panda alati” entro i prossimi decenni.
L’esperienza maturata in Francia, che ha portato a creare l’Osservatorio dei Galliformi di Montagna, appare quasi una scelta obbligata.
L’Osservatorio è infatti nato nel 1992 con lo scopo d’instaurare una collaborazione regolare fra organismi incaricati della gestione faunistica, enti gestori di Aree protette e associazioni protezionistiche o specializzate nella caccia della tipica fauna delle Alpi.
In questo modo, mutuando a livello regionale e nazionale questa positiva esperienza, si potrebbe coordinare al meglio tutte le iniziative da intraprendere finalizzate alla tutela della tipica fauna alpina in Piemonte e in Italia.
Le principali linee di azione dovrebbero quindi comprendere:
l’individuazione, a scala locale, delle cause responsabili del decremento di queste specie;
il coinvolgimento dei diversi gruppi di interesse, impegnati a titolo diverso nella gestione delle aree di montagna (allevatori, ambientalisti, cacciatori, forestali, gestori di aree sciistiche, gestori di Aree protette, ecc.);
la messa in atto di misure di tutela in grado di attenuare gli effetti dei diversi fattori di disturbo (atti legislativi, informazione, rimozione fisica delle cause);
la verifica dell’efficacia dei provvedimenti adottati;
l’adeguamento, negli anni, delle misure di tutela sulla base delle esperienze maturate.
Sport e turismo in montagna
Come è stato messo in evidenza più volte dai relatori intervenuti, l’uso intensivo dei territori montani per le attività ludico-sportive è il fattore più impattante per la sopravvivenza dei galliformi alpini.
Accanto ad interventi normativi più stringenti, è importantissimo intraprendere una campagna di sensibilizzazione a tutto campo nei confronti degli appassionati che frequentano a vario titolo la montagna.
Infatti, solo una profonda conoscenza dell’importanza biologica di questa fauna particolare, della sua presenza, delle sue abitudini e dei possibili disturbi che ciascuna attività può arrecare, consentirà di raggiungere risultati concreti sulla strada della sua tutela e della sua conservazione.
In altre parole, non occorre vietare le attività più impattanti: bisogna convincere i praticanti di tali sport che ci sono luoghi, modi e tempi per praticale senza arrecare disturbo e danno all’ambiente e alle specie che vi abitano.
Per quanto riguarda l’impatto dei cavi degli impianti di risalita occorre intraprendere da subito (e questo è l’intendimento dell’Osservatorio regionale sulla fauna selvatica) uno studio sistematico sugli impianti esistenti e sulla mortalità che questi causano sull’avifauna.
Successivamente sarà possibile attrezzare gli impianti o i punti più critici con particolari accorgimenti tecnici (essenzialmente strumenti di segnalazione dei cavi) che consentano agli uccelli in volo di individuare meglio i cavi aerei ed evitare le collisioni.
Il ruolo dei cacciatori
Qualcuno penserà: “ma come è possibile che se le specie sono a rischio di estinzione ne sia permessa la caccia?”.
Va subito precisato che in Piemonte le specie prelevabili sono il fagiano di monte e la coturnice, per cui sono concessi piani di prelievi annuali di poche centinaia di capi, stabiliti in seguito a censimenti che valutano il successo riproduttivo di ogni stagione e la presenza degli individui, a fronte di una superficie utile alle specie di circa 250.000 ettari.
Per la pernice bianca poi, i piani di prelievo concessi superano di poco il centinaio di individui totali sull’intero territorio regionale (quasi 200.000 ettari di superficie in cui è presente la specie).
Obiettivamente questi piani molto conservativi e questi numeri così ridotti non rappresentano certo la maggior causa di mortalità per questi uccelli, anche se in alcune aree particolarmente delicate, a giudizio di chi scrive, l’attività venatoria potrebbe essere ulteriormente limitata o chiusa.
Da evidenziare invece che la presenza di un certo numero di cacciatori “specializzati” per queste specie consente l’effettuazione di censimenti regolari da una decina di anni e una raccolta di dati sui capi abbattuti molto particolareggiata, dal momento che gli animali morti vengono consegnati ai centri di controllo regionali.
Anche in questo modo si sono quindi potute approfondire le conoscenze e le informazioni sulle popolazioni di galliformi presenti sulle nostre Alpi.
Il ruolo dei parchi
Altrettanto importante è il lavoro dei parchi regionali e dei due parchi nazionali (Gran Paradiso e Val Grande) per il monitoraggio di queste specie, ancor prima che per la loro tutela.
Una rete di osservazione e di raccolta dei dati capillari sul territorio è infatti l’unico strumento valido per tenere sotto controllo la salute e la vitalità di queste popolazioni, come hanno messo in evidenza i numerosi poster presentati nell’apposita sezione del convegno da parte degli Enti di gestione delle Aree protette.
Alcuni parchi piemontesi da anni raccolgono dati sulla tipica fauna alpina, con serie storiche già di alcuni decenni, che vanno a sommarsi ai più recenti censimenti nei territori venabili, obbligatori per consentire la caccia.
L’integrazione di queste due fonti preziose di dati consente una ricognizione della presenza delle specie e un confronto fra la situazione nelle diverse zone, permettendo di valutare anche l’influenza positiva o meno di ambienti particolarmente protetti sulla conservazione a lungo termine della tipica fauna alpina.
Infatti è di estremo interesse seguire il trend delle popolazioni dei galliformi in ambienti caratterizzati da un diverso grado di vocazionalità, come risultato di un differente disturbo antropico, con lo scopo non solo di monitorare queste specie, ma anche di seguire l’evoluzione degli ecosistemi d’alta montagna in cui esse vivono.
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