Questa combinazione di stampi fa infuriare i bei maschi prestanti che arrivano, se la vedono, correndo come struzzi e glugluttendo, pronti a menare un sacco di botte al mingherlino ed a fregargli la tacchina. Il problema e' far si' che li vedano. A questo scopo si usano richiami vari che riproducono il verso della tacchina femmina. Io ne uso principalmente due, uno cosiste di una scatoa di legno il cui coperchio attaccato con un cardine, viene sfregato su un lato della scatola. L'altro--molto mgliore ma difficile da usare senza aver fatto molta pratica--e' un aggeggio con un doppio diaframma sintetico.
Lo si stringe con la lingua controo il palato e ci si manda una colonnina di fiato attraverso i diaframmi, modulando il suono con la punta della lingua e con le labbra. Bene usato e' micidiale.
Seduto in un sedile attaccato con cinghie molto in basso sul tronco di un albero, con una ghillie suit addosso, guanti mimetizzati e un velo mimetizzato trasparente sul viso, e nascosto dietro una barriera di frasche e rami di pino che avevo tagliato sul posto, stavo usando il richiamo, quando un intero branco di tacchini, preceduto da un Jake (giovane maschio) ed una tacchina, spunta dal folto e si dirige, sul pascolo davanti a me, al pulito.
In coda al branco c'erano due maschi adulti. Il piu' grosso vede gli stampi e a gran velocita' sorpassa glugluttendo e con le ali abbassate e semiaperte per attaccare il rachitico maschietto. Arrivato allo stampo, a 25 metri da me, si blocca, allunga il collo per lanciare un'ultima sfida prima di sferrare l'attacco, e io mi approfitto di questo per sparargli nella testa e nel collo. Quando fanno la ruota con la testa insaccata nelle spalle e' difficile sparargli in testa senza riempirgli il petto di pallini. Ma quando allungano il collo e' un tiro da sogno.
Allo sparo il branco si sparpaglia protestando sonoramente, mentre l'uccello colpito sbatte le ali in agonia e muore. Esco dal mio nascondiglio e passo fra i due fili metallici del recinto elettrico, che avevo staccato prima di uscire la mattina presto, che separava il bosco dal pascolo per confinare le vacche. Ormai il tacchino non si muove piu' e non c'e' pericolo di beccarsi una speronata in un'ultima convulsione. Lo sollevo per le zampe e noto che ha un'ala spezzata. BOH?! Forse se l'e' rotta dibattendosi violentemente prima di morire, suppongo. Telefono a mia moglie, che mi viene a prendere con il Kubota (i tacchini maschi pesano!) e lo portiamo a casa. Lo spello, lo pulisco, e mi meraviglio di trovare un paio di pallini in una coscia, diversi nel petto , e che l'ala era stata rotta da un pallino. A 25 metri, con quei pallini, e soprattutto con lo strozzatore super full che adopero per questa caccia, la carica avrebbe dovuto fare quasi palla, non disperdersi cosi'. Ed ero sicuro di aver mirato alla testa.
Ci penso e ci ripenso, e all'improvviso si accende la lampadina sulla mia testa. Salto sul Kubota, torno sul luogo del delitto, trovo la spennata dove l'uccello s'era dibattuto, e cammino in linea retta verso il sedile dal quale avevo sparato. Scavalco di nuovo ir recinto, ed esamino uno dei fili metallici. E trovo le ammaccature lasciate dai piccoli pallini del 6 che avevano quasi tranciato il filo inferiore, che al momento dello sparo s'era trovato esattamente fra volata e tacchino. La rosata, colpendolo, era stata tagliata in due, e diversi pallini erando andati fuori bersaglio, mentre abbastanza di essi avevano raggiunto lo stesso il tacchino nel punto giusto.
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