Attualmente stai visualizzando le nostre bacheche come ospite avendo cosi un accesso limitato che ti permette di visualizzare la maggior parte delle discussioni e accedere alle nostre altre funzionalità. Unendoti alla nostra comunità gratuita potrai inserire argomenti, comunicare in privato con altri membri (PM), rispondere a sondaggi, caricare contenuti e accedere a molte altre funzionalità speciali. La registrazione è veloce, semplice e assolutamente gratuita, quindi unisciti alla nostra community oggi stesso!
In caso di problemi con il processo di registrazione o con l'accesso al tuo account : contattaci.
Se parliamo di peso posso esser d'accordo se parliamo di particolari morfologici non funzionali all'attività venatoria, no.
Di cani da 35/36Kg agili, nevrili e con molta passione venatoria mi sembra che ce ne siano comunque e che "Lo zio" ne sia diretto testimone.
Bracchi di quaranta kg non ne ho visti, ho visto solo qualche spinone di peso anche superiore, penso che chi debba impiegare il cane ai fini venatori rifugga da questo tipo di ausiliare sia solo per andare a quaglie nella piattissima pianura padana.
ma io ho visto spinoni di qaranta chili andare agili anche sull'appennino ligure.....poi dipende sempre dal cacciatorese vole un bracco o uno spinone poiterizzato o assetterato perchè non sceglie allora solo gli inglesi?
Crdeo che siano e ci saranno sempre dei cacciatori che vedono lerba del vicino sempre più verde e che non saranno mai contenti dei loro ausiliari perchè forse non possono vantarsi dei loro carnieri davanti all'osteria!
enrico
le opinioni personali sono come le palle.... ognuno ha le sue
Ma da qui a pensare di avere un cane con la pelle fina come quella di un pointer,
la pelle spessa ed il pelo non rasato , costituiscono una valida protezione e sono quindi particolari funzionali.
grassella che può esserci o no, orecchie tranquillamente più corte e attaccate alte, divergenza...basta meno, canne nasali...dritte, la giogaia sotto il collo....via; ne passa e sporrattutto chi riconoscerebbe più il bracco italiano.
grassella che deve esserci, ma non eccessiva, la divergenza o meno non è funzionale quindi inutile modificarla, la giogaia puo' essere moderata, oltretutto la giogaia eccessiva è inelegante e rende il cane goffo, oltre a non essere funzionale, la canna nasale dritta è perfettamente prevista anche nello standard attuale.
La mia opinione quindi è che il bracco ha avuto già una sua evoluzione che lo a portato (giustamente o ingiustamente) ad essere unificato nelle sue due varietà, cosa vorremo fare ora tornare a dividerle per la gioia di chi? dei cacciatori che lo utilizzerebbero in montagna??
ma se lo standard è ancora quello di 60 anni fa che "evoluzione" ha avuto ?? (fatta eccezione per l'inclinazione della groppa)
Devo ripetermi: oggi sono considerati tipici in base allo standard cani di 25 e cani di 40 kg. e si chiede di ridurre questa forbice
che non trova riscontro in nessuna altra razza.
Chi è solito cacciare in altura ed ama il bracco italiano cercherà il suo nuovo soggetto tra le correnti di sangue e tra gli allevatori che allevano Bracchi con le caratteristiche da lui ricercate...
ma così dicendo ammetti implicitamente l'esistenza di due diversi tipi di bracchi : il leggero ed il pesante, è esattamente quello che dico anche io perché chi alleva deve avere delle indicazioni, con uno standard così permissivo hanno torto e ragione tutti , ma davanti a soggetti di 25 kg x 55 cm e ad altri di 40 kg, x 67 cm. non si possono che avere grossissime perplessità sul fatto che siano della stessa razza, perché oltre alla macroscopica differenza di peso e taglia, c'é una ancora piu' macroscopica differenza di rapporto peso/altezza che fanno del primo un cane snello e del secondo un cane tozzo.
E quando si parla di "razza" bisogna che sia di un solo tipo, non di diversi tipi secondo il gusto di quello o di quell'altro, COME ACCADE OGGI grazie alle assurdità dello standard ufficiale, quindi se si vuole
evitare che uno vada a scegliere un tipo diverso dall'altro in funzione della caccia che fa , le strade sono solo DUE : o si unifica o si separa, così siamo in un minestrone dove nessuno capisce piu' quale debba essere il bracco italiano.
la pelle spessa ed il pelo non rasato , costituiscono una valida protezione e sono quindi particolari funzionali.
....quindi non vanno modificati?
grassella che deve esserci, ma non eccessiva, la divergenza o meno non è funzionale quindi inutile modificarla, la giogaia puo' essere moderata, oltretutto la giogaia eccessiva è inelegante e rende il cane goffo, oltre a non essere funzionale, la canna nasale dritta è perfettamente prevista anche nello standard attuale.
....quindi non vanno modificati neanche i non funzionali??
ma se lo standard è ancora quello di 60 anni fa che "evoluzione" ha avuto ?? (fatta eccezione per l'inclinazione della groppa)
...non prendermi alla lettera, sono povero, intendevo per evoluzione l'accorpamento tra bracchi leggeri e bracchi pesanti.
Devo ripetermi: oggi sono considerati tipici in base allo standard cani di 25 e cani di 40 kg. e si chiede di ridurre questa forbice
che non trova riscontro in nessuna altra razza.
...Perfetto anche qua ma fintanto che non si provvede per me sono entrambi nello standard ed a definirne il "grado" di tipicità saranno altri particolari....
Quando lo standard sarà, se sarà, modificato cercherò cani che siano ad esso conformi rifuggendo da quelli troppo piccoli e leggeri e da quelli troppo alti e pesanti.
ma così dicendo ammetti implicitamente l'esistenza di due diversi tipi di bracchi : il leggero ed il pesante, è esattamente quello che dico anche io perché chi alleva deve avere delle indicazioni, con uno standard così permissivo hanno torto e ragione tutti
No, ammetto l'esistenza di un unico cane, nominato Bracco Italiano, che può avere pesi e misure nei limiti della (ampia) forbice prevista dallo standard. E' troppo ampia, va bene, parliamone ma non definirei i due estremi dei "non bracchi"
, ma davanti a soggetti di 25 kg x 55 cm e ad altri di 40 kg, x 67 cm. non si possono che avere grossissime perplessità sul fatto che siano della stessa razza, perché oltre alla macroscopica differenza di peso e taglia, c'é una ancora piu' macroscopica differenza di rapporto peso/altezza che fanno del primo un cane snello e del secondo un cane tozzo.
Io se li vedo per strada dico: "Gurada, due bracchi italiani". Non penso che una razza sia definita e definibile dal peso e dall'altezza o no?
Per me un bracco italiano può esserlo anche se è di 70cm per capirci, e probabilmente non me ne accorgerei nemmeno, a occhhio nudo.
Certo che è un cane fuori dallo standard previsto per la razza di appartenenza.
E quando si parla di "razza" bisogna che sia di un solo tipo, non di diversi tipi secondo il gusto di quello o di quell'altro, COME ACCADE OGGI grazie alle assurdità dello standard ufficiale, quindi se si vuole
evitare che uno vada a scegliere un tipo diverso dall'altro in funzione della caccia che fa , le strade sono solo DUE : o si unifica o si separa, così siamo in un minestrone dove nessuno capisce piu' quale debba essere il bracco italiano.
Ed è stato unificato e mi sembra da quel po che vedo che morfolicamente sia anche ABBASTANZA omogeneo se non per il peso e l'altezza ok.
la pelle spessa ed il pelo non rasato , costituiscono una valida protezione e sono quindi particolari funzionali.
....quindi non vanno modificati?
evidentemente no, vogliamo che resti un bracco, non una copia del pointer
quindi non vanno modificati neanche i non funzionali??
vanno "contenuti" nella ragionevolezza della funzionalità, non eliminati
intendevo per evoluzione l'accorpamento tra bracchi leggeri e bracchi pesanti.
a mio personale parere questa è stata una involuzione
...Perfetto anche qua ma fintanto che non si provvede per me sono entrambi nello standard ed a definirne il "grado" di tipicità saranno altri particolari....
Quando lo standard sarà, se sarà, modificato cercherò cani che siano ad esso conformi rifuggendo da quelli troppo piccoli e leggeri e da quelli troppo alti e pesanti.
quando e se.....speriamo..........., intanto coesistono nella stassa razza due "tipi" ben diversi per costruzione oltre che per pesi e misure
E' troppo ampia, va bene, parliamone ma non definirei i due estremi dei "non bracchi"
non come dei non bracchi, ma come bracchi molto diversi tanto da
essere assimilabili a due razze diverse (sicut erat ab initio........)
Per me un bracco italiano può esserlo anche se è di 70cm per capirci, e probabilmente non me ne accorgerei nemmeno, a occhhio nudo.
guarda che il problema piu' dei 67 cm e dei 40 kg. contro 55 e 25
è il rapporto peso altezza, il primo sarebbe per forza di cose, un cagnone grosso e tozzo ed il secondo un cane snello, guardandoli poi mi dirai se sembrano della stessa razza o no.
Rammento come definivano " segugi " certi bracchi leggeri (per esempio Aiace di cascina Croce soggetto di taglia ridotta e di modello leggero, ma estremamente valido soprattutto in lavoro) gli appassionati di expo che
hanno nella testa solo il braccone da 36 kg. in avanti
Ed è stato unificato e mi sembra da quel po che vedo che morfolicamente sia anche ABBASTANZA omogeneo se non per il peso e l'altezza ok.
sono state messe nello standard delle misure che comprendono tutte e due le razza , ma la vera "unificazione" del "tipo" , che dovrebbe ragionevolmente essere un soggetto intermedio, NON l'hanno mai fatta, da qui gli equivoci e le opposte (quanto arbitrarie) opinioni e conclusioni,
su quale sia il "vero" bracco italiano.
Dire che sono corretti entrambi vuol solo dire che si continua nell' ambiguità e si fomentano dubbi, perplessità
ed incertezza.
Se la SABI non riesce o non vuole modificare lo standar di 60 anni fa pensa allora ad un giudice che giudica i cani, tu Zio hai visto il mio Pato, è bracco sui trenta Kg e mi sembra rientri negli standar di razza......ma a Milano alla expo è stato giudicato poco tipico perchè aveva la canna nasale dritta.
Mentre tu invece dici che rientra nello standar di razza, non che me ne frghi niente, ma se i soggetti vengono giudica in questo modo come si risolve il problema del cane selezionato in una taglia media?
enrico
le opinioni personali sono come le palle.... ognuno ha le sue
evidentemente no, vogliamo che resti un bracco, non una copia del pointer
Bene, siamo d'accordo.
vanno "contenuti" nella ragionevolezza della funzionalità, non eliminati
Se non sono funzionali non esiste la "ragionevolezza della funzionalità"....quindi?? O li teniamo perchè identificano la nostra razza o li togliamo perchè non servono a un ca....
a mio personale parere questa è stata una involuzione
è un parere personale per cui non è discutibile
quando e se.....speriamo..........., intanto coesistono nella stassa razza due "tipi" ben diversi per costruzione oltre che per pesi e misure
Secondo me (qua perdona la mia scarsa preparazione, non te la prendere ed eventualmente cerca di farmi capire) sono due tipi ben diversi SOLAMENTE per peso ed altezza, non per costruzione.
non come dei non bracchi, ma come bracchi molto diversi tanto da
essere assimilabili a due razze diverse (sicut erat ab initio........)
ben diversi tra loro....assolutamente concorde. Assimibilabili a due razze diverse....no.
guarda che il problema piu' dei 67 cm e dei 40 kg. contro 55 e 25
è il rapporto peso altezza, il primo sarebbe per forza di cose, un cagnone grosso e tozzo ed il secondo un cane snello, guardandoli poi mi dirai se sembrano della stessa razza o no.
Se ne avrò l'occasione...
Rammento come definivano " segugi " certi bracchi leggeri (per esempio Aiace di cascina Croce soggetto di taglia ridotta e di modello leggero, ma estremamente valido soprattutto in lavoro) gli appassionati di expo che
hanno nella testa solo il braccone da 36 kg. in avanti
Ok...ma sono chiacchere da bordo campo e valgono come le mie. L'importante è che chi lo giudica ne verifichi la rispondenza allo standard e non lo penalizzi....se non mi sbaglio Aiace era un campione assoluto quindi non penso sia stato penalizzato dai giuidci.
sono state messe nello standard delle misure che comprendono tutte e due le razza , ma la vera "unificazione" del tipo, che dovrebbe ragionevolmente essere un soggetto intermedio, NON l'hanno mai fatta, da qui gli equivoci e le opposte (quanto illogice) opinioni
su quale sia il corretto bracco italiano. Perché dire che sono corretti entrambi vuol solo dire che si continua nell' ambiguità.
E cosa vuoi che ti dica, per me sono, al momento, corretti entrambi...evviva l'ambiguità ;)
Una domanda ti voglio fare visto che l'argomento è spesso oggetto di discussioni.
Questa esigenza di unificazione è sentita anche dalla società specializzata?? Se ne parla??
E ...qualcuno commentera' : "Solo chiacchiere" ....... :
Dal passato A caccia in Sardegna coi bracchi italiani Bruno Gentili Belli <O:p Tratto da 'Andando a caccia" 15‑301611948 Ed. Enciclopedia della Caccia Italiana Dir. F. Ceroni Giacometti <O:p Or non è molto ho scritto in Diana sul pregi e difetti del bracco italiano e mi pare d'aver con ciò dimostrato chiaramente che, sebbene siano di mia preferenza per la caccia, i soggetti di questa razza, pur tuttavia ne so discernere al tempo stesso anche i difetti che in essi si riscontrano frequenti sia nell'indole, sia nella struttura. Non sono nè allevatore, nè commerciante di cani; quindi non ho nessuno scopo di osannarli o di denigrarli. sono un grande appassionato per la caccia e come tale vorrei che da questa nostra razza, sfruttandone le esimie doti di cui è indiscutibilmente fornita, gli allevatori ed i braccofili con una accurata selezione progressiva o con opportuni ed avveduti rinsanguamenti ne sapessero trarre vantaggio per dare ai cacciatori italiani un cane generico alla portata di tutti, ammirato e prescelto per la dinamicità, per la resistenza ai disagi, per l'adattabilità ad ogni genere di caccia, per la facilità d'addestramento e per l'intelligenza. In pratica, come ebbi già altre volte a scrivere su queste colonne, la selezione progressiva significa raggiungere uno scopo ricercato mercè l'unione di individui aventi caratteri appropriati. sono perfettamente d'accordo con quanto ha scritto l'avvocato Valentini, sul numero 1 del Cacciatore italiano del 1947, di sperimentare l'accoppiamento di una bracca b.a. con un bracco tedesco di tipo austriaco che abbia un'andatura di trotto serrato ed una ferrna progressiva non scattante. Chi ha l'occasione di frequentare luoghi di caccia delle Puglie, del Lazio, della Calabria e in genere di tutto il mezzogiorno d'Italia ed osserva i bastardi dei cacciatori locali venuti fuori dall'incrocio di razze le più eterogenee e persino i cani da cinghiale della maremma, non trova forse nella maggioranza di essi le inconfondibili caratteristiche del bracco italiano con la speronatura, con la massiccia conformazione del torace, con il marcatissimo osso occipitale e persino con l'abbondanza del labbro o con l'ectropion? ... Cosa sta a significare questo fatto. Il bracco è indubbiamente il miglior cane da carniere perchè oltre le doti naturali e comuni a tutte le altre razze dei cani, ha soprattutto. una rara e grande intelligenza che esplica secondo la località e secondo il momento per la cattura del selvatico. E si cambia da esimio puntatore in ottimo scovatore di selvaggina nei boschi fitti ed impenetrabili all'uomo, all'occasione ottimo lepraiolo ed è insuperabile cane da canneto e da paglia, in palude l'unico che tenga testa e possa gareggiare con lo spinone. E' per tutta questa somma di doti che si è dimostrato così duro a morire che i cacciatori pur di conservame il sangue non peritano dì ricorrere al più disparati incroci. Di conseguenza mi parrebbe logico che la cinofilia italiana, se pur con senso di italianità e non solo con senso sportivo, per primo suo dovere, senza preconcetti ed interesse, dovrebbe far di tutto per cercare di riportare alla grandezza questa nobilìssima antica razza tutta nostra, curandone in primo luogo l'alleggerimento e bocciando nelle esposizioni e nelle prove senza pietà i degenerati e linfatici con ventre da batrace e dal trotto lento e strascicante simile a quello dei cavalli da tiro. Nell'ottobre 1946 per la durata di circa quattro settimane ho portato i miei due bracchi in Sardegna; uno anziano di quattro anni e mezzo, l'altro suo figlio giovane di appena 18 mesi. Non ho ritenuto di spiattellare subito al pubblico cinofilo l'impressione che il professore Addis dell'Università Veterinaria di Sassari riportò nel vedere i due bracchi ad Osilo, poco dopo il mio arrivo in quel paese. "... voi continentali" mi disse "sbagliate molto a portare qua nella nostra isola cani così grossi e voluminosi che, per quanto robusti, mal si adattano e non possono resistere alle fatiche e ai disagi dei terreni nostri privi d'acqua, impervì e sassosi". Al che feci osservare che cani di questa razza e a un dipresso pure di questa taglia mi avevano già servito egregíamente le altre sei volte che ero stato in Sardegna, dove avevo anche dimorato a Codominas per diversi mesi continui per l'esercizio della mia professione, e che perciò speravo di non doven‑ni pentire di averli condotti là. "Vede, egregio professore, coi cani avviene quello che succede nelle persone: i giovani forti e robusti, sia pur grossi e voluminosi, come quelli che più facilmente si possono assoggettare alle fatiche gravi, ai maggiori strapazzi, vengono assegnati, nella leva militare, agli artiglieri e agli alpini, mentre i giovani di mediocre complessità o i deboli vanno senz'altro alla fanteria o alle compagnie di sussistenza e di sanità. Così è nei cani; dove più è difficile il terreno di caccia, ivi più robusti e più forti ci vogliono i cani". Ed i fatti mi hanno poi dato completamente ragione. Se ho provato un disappunto nella mia permanenza nell'isola e' stato quello di non aver potuto trascorrere una giornata di caccia con il professore Addis, per fargli constatare la verita' dell'asserto. 1 due bracchi bastantemente allenati, dal piede ottimo e dai erarretti d'acciaio, sempre disposti a scalar roccie dalla mattina alla sera senza lambire un sorso d'acqua, si sono dimostrati in pieno due insuperabili soggetti da lavoro e un solo difetto hanno palesato nella caccia di Sardegna; quello di eccessiva esuberanza nella cerca rapida e lontana che li rendeva purtroppo qualche volta un pò sordi e duri al richiamo e al fischio. Nelle ore del pomeriggio cacciavano con la stessa foga del mattino, nella seconda giornata come nella prima, nella terza come nella seconda. In confronto della setter del mio compagno di caccia, di buon sangue, ma un pò timida ed obbedientissima, i miei facevano la figura di essere diventati cani inglesi divoratori di spazio e la sua retrocessa a continentale di cerca ristretta e vicina. Non ho mai notato un segno di cedimento nel più anziano e solo raramente nel giovane in seconda e terza giornata. Ma a differenza di questi, l'altro è un maestro calcolatore nello spendere le sue energie sul lavoro; instancabile sul terreno di caccia ed ultimo fra tutti i cani ad abbandonarlo, non fa un passo di più di quello che faccio io quando con le mani in tasca e con il fucile in ispalla percorro la strada di andata e ritorno, pronto a sedersi od ad acciambellarsi se mi fermo a fare quattro chiacchiere con le persone che incontro. E durante la siesta del mezzogiorno nel tempo della colazione lui è là acciambellato ad attendere il segnale della ripresa, pronto a scattare di nuovo per salire o discendere il monte, per frugare fra i cespugli, i roveti, le roccie. Un giorno in sul finire d'ottobre, mentre ero sulla montagna di Nulvi, incominciò all'improvviso a piovere piuttosto forte e mi diressi allora frettolosamente per ripararmi sotto una grossa roccia sporgente; i due cani seguivano il mio esempio. Ma l'anziano nei pressi del rifugio fiutò una pista di selvaggina e, incurante della pioggia, la perseguii salendo un sentierino verso l'alto delle roccìe. Lo lasciai fare credendo che sarebbe presto ritornato. Invece dopo un quarto d'ora o venti minuti non si era ancora fatto vivo sebbene lo avessi richiamato col fischio un paio di volte. La pioggia intanto aveva rallentato e mi risolsi quindi di andare in su alla ricerca del cane. Ad un tratto a un duecento metri circa dal luogo dove mi ero rifugiato vedo il cane giovane che mi era vicino mettersi in posizione che più che una ferma di consenso avrei detto essere un atto di curiosità o di sorpresa. Non c'è dubbio; capisco subito che l'altro dev'essere puntato nella direzione indicata tra una folta vegetazione che lo nasconde completamente alla mia vista in prossimità dell'a piombo delle roccie. Il terreno è difficile e pericoloso e non posso avvicinarmi come vorrei al luogo dove c'è il cane puntato. Mi arrampico su una pietra che domina ed impostatomi dò sulla voce. Frullano due pernici di tra il folto dei cespugli: sparo ad una e la colpisco, ma cade nel vuoto e malauguratamente s'impiglia in una spessa edera sporgente dalla roccia e la’rimane fra la sommità e il fondo della rupe. Il cane l'ha veduta e si prodiga con tutte le possibilità per ricuperarla compiendo vari e pericolosi giochi d'acrobatismo che qualche volta mi fanno temere per la sua vita; ma non c'è niente da fare e la pernice rimane là per servire da pasto a qualcuno dei grossi falconi che si vedono roteare in alto sulla montagna. <O:p Ho avuto modo non solo in quest'ultima gita di caccia in Sardegna ma anche nei dodici periodi invernali trascorsi in Albania e negli otto passati nella Vallata del Crati in Calabria quando ancora la bonifica e la scure ed i trattori non l'avevano violata (ahi! .. com'è cambiata al giorno d'oggi), di assicurarmi che più è difficile il terreno di caccia, più robusti e più forti ci vogliono i cani. Ma non è poi da credere che il sostentamento di essi, specie durante ì periodi di caccia intensi, basti qualche tozzo di pane con acqua; no, se lo cavino dalla mente quelli che vogliono che il cane mangi poco e renda assai, che la natura non fa miracoli e la macchina senza carburante non va. Ed è tacito che l'animale più grosso abbia bisogno di maggior nutrimento del più piccolo, che il bue mangi più della pecora, che il terranova e il danese mangino più del cocker o del bassotto. Anche le truppe alpine dal fisico di atleti a cui è comandato uno sforzo maggiore hanno bisogno di un vitto speciale e più abbondante delle altre truppe chiamate a fatiche minori e a vita di caserma o di ufficio. E guai ad imbattersi in cani delicati, di poco o niente appetito, smorfiosi ai quali bisogna dar cibi speciali ben conditi e saporosi! .. Con essi non c'è da fare affidamento di poter andare a caccia per diversi giorni di seguito. La passione li potrà spingere nelle prime ore del mattino nella cerca del selvatico ma poi dopo lieve sforzo, esausti e sfiniti, li troverete mogi mogi con la coda fra le gambe dietro i calcagni e nè dolci o bruschi inviti, nè abbondanza di selvaggina riusciranno più a smuoverli. <O:p E qui mi sia permessa una disgressione per parlarvi un poco della vittazione in genere dei cani. Vi siete mai chiesti perchè i vostri cani si gettano spesso sugli escrementi umani od animali e li divorano con un senso di piacere, quasi di ghiottoneria? E' un'aberrazione od un bisogno? E' un complemento del vitto o una necessità fisìologica del cane? Eppure anche quelli ben avvezzati che non mancano di nulla, che quotidianamente hanno la loro zuppa abbondante con pane, ossi e grasso; anche quelli da salotto abituati alla carne e al biscottino, una volta liberi, non possono astenersi di divorare escrementi, dimenticando ogni buona abitudine. E sfidano, povere bestie, l'ira dei padroni con le relative frustate, pedate e sassate; e difficilmente possono consumare il loro pasto in tranquillità, quando non sono fuori dalla vita del loro accompagnatore! .. Per quello, beati i cani girovaghi che si saziano di rifiuti e di escrementi, a loro piacere, senza i rimproveri, le busse e le sassate! Certo è che l'atto è ributtante e stomachevole tanto più che tutti i cani prediligono soprattutto lo sterco dei bambini e quello diarroico degli adulti. (Vedo che questo non è un tema per i lettori di stomaco debole e delicato! ..) Pur tuttavia è bene tenere presente che tutto ciò che c'è nella natura ha ragione di essere e se i cani fanno quel che fanno è perchè negli escrementi umani ed animali trovano gli alealoidi necessari al proprio organismo e naturalmente prediligono, fra gli escrementi, quelli più ricchi di alcaloidi. E' già da molti anni che alcuni studiosi tedeschi rivolsero la loro attenzione su questo fatto e concordemente conclusero che se al cane si somministra carne putrefatta questi rifuggirà senz'altro dall’appetire gli escrementi. In base a tale osservazione con l'aiuto della scienza ci volle poco ad arrivare alla spiegazione del fenomeno. L’alimentazione umana si compone di sostanze animali e vegetali: la vacca, la capra, la pecora si nutrono esclusivamente di vegetali; quindi il composto di cui abbisogna fisiologicamente il cane esiste nei prodotti animali e vegetali. Ma qual'è la sostanza che gli è necessaria? Il prof. Hess di Berlino dimostrò che con la decomposizione delle albumine vegetali ed animali si producono delle sostanze azotate alcaline che si avvicinano assai per le proprietà chimiche e tossiche, agli alcaloidi vegetali e ch'egli chiamò alcaloidi di decomposizione. Parecchi di questi furono estratti dalla carne putrefatta, dai cadaveri etc. Il cane abbisogna, evidentemente, di questi tossici, e quindi dannosi, per la funzionalità del proprio organismo. Un uomo che mangiasse carne in putrefazione si ammalerebbe per avvelenamento, con l'ingestione degli alcaloidi che vi si trovano allo stato libero. Invece il cane esige per la sua salute e per la sua floridezza questi alcaloidi, e noi non dobbiamo sottrarglieli, se vogliamo evitare conseguenze dannose. Quindi per concludere, è da raccomandarsi la somministrazione di carne putrefatta ai proprii cani, se non si vuole ch'essi corrano a gustare gli escrementi. Da tutti è risaputo che il cimurro colpisce di preferenza i cani di razza pura, allevati e tenuti con riguardo e con attenzione; invece i bastardi semi abbandonati e lasciati girovagare per i paesi e per le campagne, difficilmente si ammalano di quella malattia e qualora la contraggano la superano con relativa facilità. Perchè questo? Non ci potrebbe essere una relazione fra il vitto a base di abbondanti alcaloidi dei randagi in confronto del vitto degli altri tenuti in casa o in cortile? E' un'interrogazione che aspetta la risposta ... <O:p Perdonate la lunga parentesi e riprendiamo il tema dei bracchi e della Sardegna. <O:p 1 bracchi son tutti dei gran mangiatori e poche volte ci riesce di saziarli. lo vivo in zona agricola dove mi riesce facile trovare agnelli, pecore, maiali morti all'improvviso senza che i contadini abbiano avuto il tempo e il modo di scannarli: dichiarati non commestibili dal veterinario e quando mi consta in modo sicuro che non sono morti di malattia infettiva, lo senz'altro li dò in pasto ai cani qualche volta a pezzi e altre volte interi. In quest'ultimo caso ho sempre bisogno di sorvegliarli da vicino perchè ne mangerebbero fino a scoppiare. <O:p Una sera ad Ozìeri dove io ed il mio compagno giungemmo per pernottarvi dopo una faticosissima giornata di caccia, l'albergatore, a corto di pane ci disse che ai cani avrebbe dato della carta da musica. Tutti quelli che sono stati in Sardegna conoscono di certo che cosa sia la carta da musica: per chi non ci fosse stato dirò ch'essa è una specie del crostolo e della piada romagnola ma molto più sottile e che ricorda lo spessore della comune carta da musica: donde il nome. Mi venne da ridere e rivolto all'albergatore dissi: guardi che i miei cani mangiano molto e perciò, se è possibile, porti loro un'intera opera lunga come il Parsifal, perchè con la Cavalleria Rusticana o con i Pagliacci non si saziano di certo. Ma come era da immaginare, quella sera si dovettero accontentare del poco, perchè i fogli di carta da musica non erano che cinque o sei! .. Ma nulla di male perchè i cani ben nutriti e vigorosi più facilmente degli altri si sanno adattare alle circostanze e non temono, pur nella fatica, il digiuno di un paio di giorni, come anche sopportano meglio la mancanza di acqua nei terreni di caccia siccitosi. Ecco cosa ne scrive del suo bracco il dottor Ferdinando Fattori di Fermignano recatosi in Sardegna alla metà di novembre per la caccia alle beccacce: ho trascorso in Sardegna circa una mesata e quasi ogni giorno mi sono recato a caccia anche quando la stagione era poco promettente e piovosa. Mi sono convinto che il nostro bracco è veramente insuperabile cane da carniere. Per lui non ha valore il terreno difficile come non ha valore la stagione: o acqua, o vento, o sole mi si è dimostrato sempre alla medesima altezza ed ha sempre lavorato con il medesimo brio. Gli ho fatto fare sin cinque giomi di seguito dall'alba al tramonto per terreni sassosi e per boschi fradici di acqua, con frequenti acquazzoni torrenziali e mai si è fermato. Bisognava vederlo tutto fradicio di acqua come gattonava e come puntava! 1 miei due compagni, uno continentale e l'altro sardo, avevano un setter gordon ed un pointer; ma senza il mio bracco nei boschi difficili e bagnati non avremmo mai trovata nessuna beccaccia .. Lo stesso valore che ha dimostrato d'avere in montagna e nel bosco, l'ha mantenuto anche nella palude, dove non c'era mai stato, ai beccaccini, che non aveva mai veduto. Questi che scrive così è un autentico appassionato cacciatore, gran acciaro; e lo dice la ennesima gita in Sardegna per beccacce. E quest'anno ha avuto anche modo di divertirsi molto perchè nell'isola c'è stata una gran abbondanza di becchi lunghi. Il camiere complessivo mio e del mio compagno è stato di 86 quaglie, 75 pernici, 6 colombacci, 4 beccaccini, 3 beccacce, 2 galline prataiole. 1 lepre, 1 volpe e 12 diversi: sl)vaggjna varia, come si vede. caccìata al piano e al monte, nella stoppia e nelle rupi ,nella palude e nel bosco. Ma questo non deve servire che da paragone per le cacciate al gallo dì monte sulle Alpi di Vinadio, alle beccacce sulle Alpi di Feltre, alle coturnici sui monti di Argirocastro. alle ciukar nell'isola di Rodi , alle beccacce e beccaccini ed anatre in Albania ed in Calabria dove i mieì bracchi mi coadiuvato sempre egregiamente con piena lode anche di i che mi sono stati compagni nelle varie gite di caccia. Il bracco è il vero cane encìclopedico della caccìa che non teme confronti, buono per il riccio e per il cinghiale, per la quaglia e per il gallo di monte, per il beccaccino e per la coturnice, per l’anatra e per la beccaccia. Con lui potete cacciare indifferentemente la selvaggina della steppa siberiana e della foresta nordica ,come la selvaggina della pampa o della palude tropicale. <O:p Il bracco è nostro; e non dobbiamo essere noi italiani a dargli colpo di grazia e a cantargli il De profundis. All'opera per la rigenerazione del bracco che vogliamo leggero e dìnamico. <O:p La gita di cui al presente articolo è stata effettuata nell'ottobre 1946, nel 1947 il dott. Gentili Belli, è tornato in Sardegna ottenendo in 18 giorni di caccia i seguenti risultati: 97 pernici, 17 beccaccini, 12 quaglie, 4 beccacce, 3 lepri .. che cani .. e che cacciatore! n.d.r. <O:p
Se la SABI non riesce o non vuole modificare lo standar di 60 anni fa pensa allora ad un giudice che giudica i cani, tu Zio hai visto il mio Pato, è bracco sui trenta Kg e mi sembra rientri negli standar di razza......ma a Milano alla expo è stato giudicato poco tipico perchè aveva la canna nasale dritta.
Mentre tu invece dici che rientra nello standar di razza,
Enrico, non lo dico io, lo dice lo standard che riporto di seguito : " Muso : Canna nasale leggermente montonina o retta............."
non mi pare ci possano essere dubbi o interpretazioni personali in merito
Questa esigenza di unificazione è sentita anche dalla società specializzata?? Se ne parla??
<!-- / message --> </td></tr><tr><td class="alt2" style="border-style: none solid solid; border-color: -moz-use-text-color rgb(209, 209, 225) rgb(209, 209, 225); border-width: 0px 1px 1px;"> stando ai fatti, sembrerebbe che non sia sentita, dato che se ne parla ma non si prendono decisioni
</td></tr></tr></tbody></table>
Di conseguenza mi parrebbe logico che la cinofilia italiana, se pur con senso di italianità e non solo con senso sportivo, per primo suo dovere, senza preconcetti ed interesse, dovrebbe far di tutto per cercare di riportare alla grandezza questa nobilìssima antica razza tutta nostra, curandone in primo luogo l'alleggerimento e bocciando nelle esposizioni e nelle prove senza pietà i degenerati e linfatici con ventre da batrace e dal trotto lento e strascicante simile a quello dei cavalli da tiro
voi continentali" mi disse "sbagliate molto a portare qua nella nostra isola cani così grossi e voluminosi che, per quanto robusti, mal si adattano e non possono resistere alle fatiche e ai disagi dei terreni nostri privi d'acqua, impervì e sassosi".
"Vede, egregio professore, coi cani avviene quello che succede nelle persone: i giovani forti e robusti, sia pur grossi e voluminosi, come quelli che più facilmente si possono assoggettare alle fatiche gravi, ai maggiori strapazzi, vengono assegnati, nella leva militare, agli artiglieri e agli alpini, mentre i giovani di mediocre complessità o i deboli vanno senz'altro alla fanteria o alle compagnie di sussistenza e di sanità. Così è nei cani; dove più è difficile il terreno di caccia, ivi più robusti e più forti ci vogliono i cani
ma i bracchi non devono portare pesi , e non ho mai visto dei maratoneti larghi di spalle e fisicamente robusti e mi pare scontato che piu' sono voluminosi e piu' patiranno la sete.
Il bracco è nostro; e non dobbiamo essere noi italiani a dargli colpo di grazia e a cantargli il De profundis.All'opera
per la rigenerazione del bracco che vogliamo leggero e dinamico
Dal passato A caccia in Sardegna coi bracchi italiani Bruno Gentili Belli <O>:p</O> Tratto da 'Andando a caccia" 15‑301611948 Ed. Enciclopedia della Caccia Italiana Dir. F. Ceroni Giacometti <O>:p</O> Or non è molto ho scritto in Diana sul pregi e difetti del bracco italiano e mi pare d'aver con ciò dimostrato chiaramente che, sebbene siano di mia preferenza per la caccia, i soggetti di questa razza, pur tuttavia ne so discernere al tempo stesso anche i difetti che in essi si riscontrano frequenti sia nell'indole, sia nella struttura. Non sono nè allevatore, nè commerciante di cani; quindi non ho nessuno scopo di osannarli o di denigrarli. sono un grande appassionato per la caccia e come tale vorrei che da questa nostra razza, sfruttandone le esimie doti di cui è indiscutibilmente fornita, gli allevatori ed i braccofili con una accurata selezione progressiva o con opportuni ed avveduti rinsanguamenti ne sapessero trarre vantaggio per dare ai cacciatori italiani un cane generico alla portata di tutti, ammirato e prescelto per la dinamicità, per la resistenza ai disagi, per l'adattabilità ad ogni genere di caccia, per la facilità d'addestramento e per l'intelligenza. In pratica, come ebbi già altre volte a scrivere su queste colonne, la selezione progressiva significa raggiungere uno scopo ricercato mercè l'unione di individui aventi caratteri appropriati. sono perfettamente d'accordo con quanto ha scritto l'avvocato Valentini, sul numero 1 del Cacciatore italiano del 1947, di sperimentare l'accoppiamento di una bracca b.a. con un bracco tedesco di tipo austriaco che abbia un'andatura di trotto serrato ed una ferrna progressiva non scattante. Chi ha l'occasione di frequentare luoghi di caccia delle Puglie, del Lazio, della Calabria e in genere di tutto il mezzogiorno d'Italia ed osserva i bastardi dei cacciatori locali venuti fuori dall'incrocio di razze le più eterogenee e persino i cani da cinghiale della maremma, non trova forse nella maggioranza di essi le inconfondibili caratteristiche del bracco italiano con la speronatura, con la massiccia conformazione del torace, con il marcatissimo osso occipitale e persino con l'abbondanza del labbro o con l'ectropion? ... Cosa sta a significare questo fatto. Il bracco è indubbiamente il miglior cane da carniere perchè oltre le doti naturali e comuni a tutte le altre razze dei cani, ha soprattutto. una rara e grande intelligenza che esplica secondo la località e secondo il momento per la cattura del selvatico. E si cambia da esimio puntatore in ottimo scovatore di selvaggina nei boschi fitti ed impenetrabili all'uomo, all'occasione ottimo lepraiolo ed è insuperabile cane da canneto e da paglia, in palude l'unico che tenga testa e possa gareggiare con lo spinone. E' per tutta questa somma di doti che si è dimostrato così duro a morire che i cacciatori pur di conservame il sangue non peritano dì ricorrere al più disparati incroci. Di conseguenza mi parrebbe logico che la cinofilia italiana, se pur con senso di italianità e non solo con senso sportivo, per primo suo dovere, senza preconcetti ed interesse, dovrebbe far di tutto per cercare di riportare alla grandezza questa nobilìssima antica razza tutta nostra, curandone in primo luogo l'alleggerimento e bocciando nelle esposizioni e nelle prove senza pietà i degenerati e linfatici con ventre da batrace e dal trotto lento e strascicante simile a quello dei cavalli da tiro. Nell'ottobre 1946 per la durata di circa quattro settimane ho portato i miei due bracchi in Sardegna; uno anziano di quattro anni e mezzo, l'altro suo figlio giovane di appena 18 mesi. Non ho ritenuto di spiattellare subito al pubblico cinofilo l'impressione che il professore Addis dell'Università Veterinaria di Sassari riportò nel vedere i due bracchi ad Osilo, poco dopo il mio arrivo in quel paese. "... voi continentali" mi disse "sbagliate molto a portare qua nella nostra isola cani così grossi e voluminosi che, per quanto robusti, mal si adattano e non possono resistere alle fatiche e ai disagi dei terreni nostri privi d'acqua, impervì e sassosi". Al che feci osservare che cani di questa razza e a un dipresso pure di questa taglia mi avevano già servito egregíamente le altre sei volte che ero stato in Sardegna, dove avevo anche dimorato a Codominas per diversi mesi continui per l'esercizio della mia professione, e che perciò speravo di non doven‑ni pentire di averli condotti là. "Vede, egregio professore, coi cani avviene quello che succede nelle persone: i giovani forti e robusti, sia pur grossi e voluminosi, come quelli che più facilmente si possono assoggettare alle fatiche gravi, ai maggiori strapazzi, vengono assegnati, nella leva militare, agli artiglieri e agli alpini, mentre i giovani di mediocre complessità o i deboli vanno senz'altro alla fanteria o alle compagnie di sussistenza e di sanità. Così è nei cani; dove più è difficile il terreno di caccia, ivi più robusti e più forti ci vogliono i cani". Ed i fatti mi hanno poi dato completamente ragione. Se ho provato un disappunto nella mia permanenza nell'isola e' stato quello di non aver potuto trascorrere una giornata di caccia con il professore Addis, per fargli constatare la verita' dell'asserto. 1 due bracchi bastantemente allenati, dal piede ottimo e dai erarretti d'acciaio, sempre disposti a scalar roccie dalla mattina alla sera senza lambire un sorso d'acqua, si sono dimostrati in pieno due insuperabili soggetti da lavoro e un solo difetto hanno palesato nella caccia di Sardegna; quello di eccessiva esuberanza nella cerca rapida e lontana che li rendeva purtroppo qualche volta un pò sordi e duri al richiamo e al fischio. Nelle ore del pomeriggio cacciavano con la stessa foga del mattino, nella seconda giornata come nella prima, nella terza come nella seconda. In confronto della setter del mio compagno di caccia, di buon sangue, ma un pò timida ed obbedientissima, i miei facevano la figura di essere diventati cani inglesi divoratori di spazio e la sua retrocessa a continentale di cerca ristretta e vicina. Non ho mai notato un segno di cedimento nel più anziano e solo raramente nel giovane in seconda e terza giornata. Ma a differenza di questi, l'altro è un maestro calcolatore nello spendere le sue energie sul lavoro; instancabile sul terreno di caccia ed ultimo fra tutti i cani ad abbandonarlo, non fa un passo di più di quello che faccio io quando con le mani in tasca e con il fucile in ispalla percorro la strada di andata e ritorno, pronto a sedersi od ad acciambellarsi se mi fermo a fare quattro chiacchiere con le persone che incontro. E durante la siesta del mezzogiorno nel tempo della colazione lui è là acciambellato ad attendere il segnale della ripresa, pronto a scattare di nuovo per salire o discendere il monte, per frugare fra i cespugli, i roveti, le roccie. Un giorno in sul finire d'ottobre, mentre ero sulla montagna di Nulvi, incominciò all'improvviso a piovere piuttosto forte e mi diressi allora frettolosamente per ripararmi sotto una grossa roccia sporgente; i due cani seguivano il mio esempio. Ma l'anziano nei pressi del rifugio fiutò una pista di selvaggina e, incurante della pioggia, la perseguii salendo un sentierino verso l'alto delle roccìe. Lo lasciai fare credendo che sarebbe presto ritornato. Invece dopo un quarto d'ora o venti minuti non si era ancora fatto vivo sebbene lo avessi richiamato col fischio un paio di volte. La pioggia intanto aveva rallentato e mi risolsi quindi di andare in su alla ricerca del cane. Ad un tratto a un duecento metri circa dal luogo dove mi ero rifugiato vedo il cane giovane che mi era vicino mettersi in posizione che più che una ferma di consenso avrei detto essere un atto di curiosità o di sorpresa. Non c'è dubbio; capisco subito che l'altro dev'essere puntato nella direzione indicata tra una folta vegetazione che lo nasconde completamente alla mia vista in prossimità dell'a piombo delle roccie. Il terreno è difficile e pericoloso e non posso avvicinarmi come vorrei al luogo dove c'è il cane puntato. Mi arrampico su una pietra che domina ed impostatomi dò sulla voce. Frullano due pernici di tra il folto dei cespugli: sparo ad una e la colpisco, ma cade nel vuoto e malauguratamente s'impiglia in una spessa edera sporgente dalla roccia e la’rimane fra la sommità e il fondo della rupe. Il cane l'ha veduta e si prodiga con tutte le possibilità per ricuperarla compiendo vari e pericolosi giochi d'acrobatismo che qualche volta mi fanno temere per la sua vita; ma non c'è niente da fare e la pernice rimane là per servire da pasto a qualcuno dei grossi falconi che si vedono roteare in alto sulla montagna. <O>:p</O> Ho avuto modo non solo in quest'ultima gita di caccia in Sardegna ma anche nei dodici periodi invernali trascorsi in Albania e negli otto passati nella Vallata del Crati in Calabria quando ancora la bonifica e la scure ed i trattori non l'avevano violata (ahi! .. com'è cambiata al giorno d'oggi), di assicurarmi che più è difficile il terreno di caccia, più robusti e più forti ci vogliono i cani. Ma non è poi da credere che il sostentamento di essi, specie durante ì periodi di caccia intensi, basti qualche tozzo di pane con acqua; no, se lo cavino dalla mente quelli che vogliono che il cane mangi poco e renda assai, che la natura non fa miracoli e la macchina senza carburante non va. Ed è tacito che l'animale più grosso abbia bisogno di maggior nutrimento del più piccolo, che il bue mangi più della pecora, che il terranova e il danese mangino più del cocker o del bassotto. Anche le truppe alpine dal fisico di atleti a cui è comandato uno sforzo maggiore hanno bisogno di un vitto speciale e più abbondante delle altre truppe chiamate a fatiche minori e a vita di caserma o di ufficio. E guai ad imbattersi in cani delicati, di poco o niente appetito, smorfiosi ai quali bisogna dar cibi speciali ben conditi e saporosi! .. Con essi non c'è da fare affidamento di poter andare a caccia per diversi giorni di seguito. La passione li potrà spingere nelle prime ore del mattino nella cerca del selvatico ma poi dopo lieve sforzo, esausti e sfiniti, li troverete mogi mogi con la coda fra le gambe dietro i calcagni e nè dolci o bruschi inviti, nè abbondanza di selvaggina riusciranno più a smuoverli. <O>:p</O> E qui mi sia permessa una disgressione per parlarvi un poco della vittazione in genere dei cani. Vi siete mai chiesti perchè i vostri cani si gettano spesso sugli escrementi umani od animali e li divorano con un senso di piacere, quasi di ghiottoneria? E' un'aberrazione od un bisogno? E' un complemento del vitto o una necessità fisìologica del cane? Eppure anche quelli ben avvezzati che non mancano di nulla, che quotidianamente hanno la loro zuppa abbondante con pane, ossi e grasso; anche quelli da salotto abituati alla carne e al biscottino, una volta liberi, non possono astenersi di divorare escrementi, dimenticando ogni buona abitudine. E sfidano, povere bestie, l'ira dei padroni con le relative frustate, pedate e sassate; e difficilmente possono consumare il loro pasto in tranquillità, quando non sono fuori dalla vita del loro accompagnatore! .. Per quello, beati i cani girovaghi che si saziano di rifiuti e di escrementi, a loro piacere, senza i rimproveri, le busse e le sassate! Certo è che l'atto è ributtante e stomachevole tanto più che tutti i cani prediligono soprattutto lo sterco dei bambini e quello diarroico degli adulti. (Vedo che questo non è un tema per i lettori di stomaco debole e delicato! ..) Pur tuttavia è bene tenere presente che tutto ciò che c'è nella natura ha ragione di essere e se i cani fanno quel che fanno è perchè negli escrementi umani ed animali trovano gli alealoidi necessari al proprio organismo e naturalmente prediligono, fra gli escrementi, quelli più ricchi di alcaloidi. E' già da molti anni che alcuni studiosi tedeschi rivolsero la loro attenzione su questo fatto e concordemente conclusero che se al cane si somministra carne putrefatta questi rifuggirà senz'altro dall’appetire gli escrementi. In base a tale osservazione con l'aiuto della scienza ci volle poco ad arrivare alla spiegazione del fenomeno. L’alimentazione umana si compone di sostanze animali e vegetali: la vacca, la capra, la pecora si nutrono esclusivamente di vegetali; quindi il composto di cui abbisogna fisiologicamente il cane esiste nei prodotti animali e vegetali. Ma qual'è la sostanza che gli è necessaria? Il prof. Hess di Berlino dimostrò che con la decomposizione delle albumine vegetali ed animali si producono delle sostanze azotate alcaline che si avvicinano assai per le proprietà chimiche e tossiche, agli alcaloidi vegetali e ch'egli chiamò alcaloidi di decomposizione. Parecchi di questi furono estratti dalla carne putrefatta, dai cadaveri etc. Il cane abbisogna, evidentemente, di questi tossici, e quindi dannosi, per la funzionalità del proprio organismo. Un uomo che mangiasse carne in putrefazione si ammalerebbe per avvelenamento, con l'ingestione degli alcaloidi che vi si trovano allo stato libero. Invece il cane esige per la sua salute e per la sua floridezza questi alcaloidi, e noi non dobbiamo sottrarglieli, se vogliamo evitare conseguenze dannose. Quindi per concludere, è da raccomandarsi la somministrazione di carne putrefatta ai proprii cani, se non si vuole ch'essi corrano a gustare gli escrementi. Da tutti è risaputo che il cimurro colpisce di preferenza i cani di razza pura, allevati e tenuti con riguardo e con attenzione; invece i bastardi semi abbandonati e lasciati girovagare per i paesi e per le campagne, difficilmente si ammalano di quella malattia e qualora la contraggano la superano con relativa facilità. Perchè questo? Non ci potrebbe essere una relazione fra il vitto a base di abbondanti alcaloidi dei randagi in confronto del vitto degli altri tenuti in casa o in cortile? E' un'interrogazione che aspetta la risposta ... <O>:p</O> Perdonate la lunga parentesi e riprendiamo il tema dei bracchi e della Sardegna. <O>:p</O> 1 bracchi son tutti dei gran mangiatori e poche volte ci riesce di saziarli. lo vivo in zona agricola dove mi riesce facile trovare agnelli, pecore, maiali morti all'improvviso senza che i contadini abbiano avuto il tempo e il modo di scannarli: dichiarati non commestibili dal veterinario e quando mi consta in modo sicuro che non sono morti di malattia infettiva, lo senz'altro li dò in pasto ai cani qualche volta a pezzi e altre volte interi. In quest'ultimo caso ho sempre bisogno di sorvegliarli da vicino perchè ne mangerebbero fino a scoppiare. <O>:p</O> Una sera ad Ozìeri dove io ed il mio compagno giungemmo per pernottarvi dopo una faticosissima giornata di caccia, l'albergatore, a corto di pane ci disse che ai cani avrebbe dato della carta da musica. Tutti quelli che sono stati in Sardegna conoscono di certo che cosa sia la carta da musica: per chi non ci fosse stato dirò ch'essa è una specie del crostolo e della piada romagnola ma molto più sottile e che ricorda lo spessore della comune carta da musica: donde il nome. Mi venne da ridere e rivolto all'albergatore dissi: guardi che i miei cani mangiano molto e perciò, se è possibile, porti loro un'intera opera lunga come il Parsifal, perchè con la Cavalleria Rusticana o con i Pagliacci non si saziano di certo. Ma come era da immaginare, quella sera si dovettero accontentare del poco, perchè i fogli di carta da musica non erano che cinque o sei! .. Ma nulla di male perchè i cani ben nutriti e vigorosi più facilmente degli altri si sanno adattare alle circostanze e non temono, pur nella fatica, il digiuno di un paio di giorni, come anche sopportano meglio la mancanza di acqua nei terreni di caccia siccitosi. Ecco cosa ne scrive del suo bracco il dottor Ferdinando Fattori di Fermignano recatosi in Sardegna alla metà di novembre per la caccia alle beccacce: ho trascorso in Sardegna circa una mesata e quasi ogni giorno mi sono recato a caccia anche quando la stagione era poco promettente e piovosa. Mi sono convinto che il nostro bracco è veramente insuperabile cane da carniere. Per lui non ha valore il terreno difficile come non ha valore la stagione: o acqua, o vento, o sole mi si è dimostrato sempre alla medesima altezza ed ha sempre lavorato con il medesimo brio. Gli ho fatto fare sin cinque giomi di seguito dall'alba al tramonto per terreni sassosi e per boschi fradici di acqua, con frequenti acquazzoni torrenziali e mai si è fermato. Bisognava vederlo tutto fradicio di acqua come gattonava e come puntava! 1 miei due compagni, uno continentale e l'altro sardo, avevano un setter gordon ed un pointer; ma senza il mio bracco nei boschi difficili e bagnati non avremmo mai trovata nessuna beccaccia .. Lo stesso valore che ha dimostrato d'avere in montagna e nel bosco, l'ha mantenuto anche nella palude, dove non c'era mai stato, ai beccaccini, che non aveva mai veduto. Questi che scrive così è un autentico appassionato cacciatore, gran acciaro; e lo dice la ennesima gita in Sardegna per beccacce. E quest'anno ha avuto anche modo di divertirsi molto perchè nell'isola c'è stata una gran abbondanza di becchi lunghi. Il camiere complessivo mio e del mio compagno è stato di 86 quaglie, 75 pernici, 6 colombacci, 4 beccaccini, 3 beccacce, 2 galline prataiole. 1 lepre, 1 volpe e 12 diversi: sl)vaggjna varia, come si vede. caccìata al piano e al monte, nella stoppia e nelle rupi ,nella palude e nel bosco. Ma questo non deve servire che da paragone per le cacciate al gallo dì monte sulle Alpi di Vinadio, alle beccacce sulle Alpi di Feltre, alle coturnici sui monti di Argirocastro. alle ciukar nell'isola di Rodi , alle beccacce e beccaccini ed anatre in Albania ed in Calabria dove i mieì bracchi mi coadiuvato sempre egregiamente con piena lode anche di i che mi sono stati compagni nelle varie gite di caccia. Il bracco è il vero cane encìclopedico della caccìa che non teme confronti, buono per il riccio e per il cinghiale, per la quaglia e per il gallo di monte, per il beccaccino e per la coturnice, per l’anatra e per la beccaccia. Con lui potete cacciare indifferentemente la selvaggina della steppa siberiana e della foresta nordica ,come la selvaggina della pampa o della palude tropicale. <O>:p</O> Il bracco è nostro; e non dobbiamo essere noi italiani a dargli colpo di grazia e a cantargli il De profundis. All'opera per la rigenerazione del bracco che vogliamo leggero e dìnamico. <O>:p</O> La gita di cui al presente articolo è stata effettuata nell'ottobre 1946, nel 1947 il dott. Gentili Belli, è tornato in Sardegna ottenendo in 18 giorni di caccia i seguenti risultati: 97 pernici, 17 beccaccini, 12 quaglie, 4 beccacce, 3 lepri .. che cani .. e che cacciatore! n.d.r.
Ringrazio Antonio Lucio Casamassima x aver messo a disposizione questo scritto a chi come me non ne conoseva neppure l' esistenza [vinci]
.....rileggendo carte di qualche annetto fa........ :
Alcune puntualizzazioni sul Bracco Italiano ( Anno 1989)Giuseppe Colombo Manfroni <O:p La revisione dello standard <O:p <O:p La lettura dello standard è passaggio obbligato per chiunque giudice, allevatore o semplice amatore) voglia avvicinarsi ad una razza. Uno standard deve essere una descrizione precisa che non lascia spazio ad equivoci proponendo un modello consono al momento attuale e alle future esigenze, senza trascurare l'evoluzione storica della razza stessa. Non è quindi necessariamente immutabile, ma qualsiasi variazione deve essere frutto di un lavoro collegiale, realizzato con il supporto di una profonda esperienza zootecnica e di un'ampia visione della realtà cinofila e delle possibili evoluzioni che questa potrà avere in futuro. Va aggiunto che il modello dovrebbe rispecchiare un tipo ideale che possa garantire la massima funzionalità, ossia una meta verso cui deve tendere l'allevamento; se in un particolare momento storico della azza certe importanti caratteristiche morfo‑funzionali fossero presenti con scarsa frequenza, non per questo dovrà essere rivisto lo standard, ma al contrario sarà compito dell'allevatore impegnarsi per recuperare ciò che si è perduto. Un esempio significativo: oggitra i pointer pochissimi soggetti presentano la caratteristica groppa orizzontale con un'inclinazione del coxale che non supera 25° come giustamente lo standard richiede. Vedo con soddisfazìone che i veri amatori della razza seppure con difficoltà, sono impegnati a riportare alla giusta inclinazione questa regione; seguire il comportamento tollerante di alcuni che avrebbero addirittura proposto di ritoccare lo standard ammettendo una maggior inclinazione della groppa, avrebbe ulteriormente stravolto la razza nelle sue peculiari caratteristiche morfologiche e di lavoro portandola ad un inevitabile decadimento della sua specifica funzionalità. <O:p Lo standard del bracco italiano pubblicato alle pagine precedenti è il frutto di una revisione operata dall'ENCI su richiesta della Federazione Cinologica Internazionale. 1 Paesi d'origine delle singole razze canine sono stati infatti invitati a riproporre la descrizione delle razze di appartenenza secondo uno schema prefissato. Tale lavoro fa parte di una nota operazione internazionale che ha portato anche ad una nuova classificazione delle razze. Il nuovo standard approvato dal Consiglio Direttivo dell'ENCI è stato redatto dal Comitato dei Giudici dell'Ente stesso su una proposta messa a punto dal Direttivo della SABI che a suo tempo aveva interpellato il proprio Comitato Tecnico, dopo aver informato tutti i Soci con circolare 003 del 12 luglio 1988. <O:p Ritengo che in tale occasione la nostra Società, cercando la collaborazione di tutti, abbia tenuto un comportamento trasparente e democratico, perfettamente in linea con i propri fini istituzionali. Tengo a precisare ciò, perchè talvolta mi sono giunte alle orecchie alcune critiche delle quali si è reso portavoce anche l'amico Scheggi a pag. 101 della sua nuova, peraltro molto apprezzata opera sul Bracco Italiano. <O:p Colgo l'occasione per riaffermare in veste ufficiale anche a nome del Consiglio Direttivo che la SABI, grazie alla competenza e al disinteressato amore per la razza dei componenti i propri organi sociali, opera nel pieno rispetto dello statuto con invidiabili ed invidiate trasparenza e serietà d'intenti, di ciò mi rendo personalmente garante e sono pronto a stare in prima linea per smentire qualsiasi gratuita illazione da bordo ring! 1 suggerimenti come pure le critiche sono sempre bene accolti, purchè fatti nella sede opportuna e con il preciso fine di portare un contributo positivo al miglioramento e alla diffusione della razza prediletta. Il pettegolezzo, la sterile polemica spesso frutto di rancori personali, provocano solo sconcerto e perdite di tempo, distogliendo le nostre strutture già oberate di lavoro da compiti più produttivi. <O:p Esaminando la nuova stesura dello standard, il lettore si accorgerà come questo non differisca nella sostanza dalla versione precedente, mentre la descrizione viene fatta con un linguaggio semplice ed appropriato che non dovrebbe lasciar spazio ad errate fuorvianti interpretazioni. Riguardo ad alcune caratteristiche, come già in passato, lo standard prevede un certo margine di variabilità attraverso il quale l'allevatore, a mo' d'artista, può imprimere il proprio marchio di fabbrica ai suoi prodotti, ma ricordiamoci bene che lo standard del bracco è molto dettagliato ed è ufficiale, va’ inteso come il vangelo: quando ci si allontana dai suoi dettati si cade in difetto! <O:p Un obiettivo comune! <O:p Fin dai tempi passati si è scritto molto, e continuamente si approfondiscono le conoscenze sulla nostra razza; questo stesso Annuario testimonia quanta cultura cinofila ruoti attorno al bracco italiano. A volte certe opinioni possono sembrare in contrasto. Ciò merita di essere esaminato con attenzione: è infatti di fondamentale importanza che il lavoro di tutti tenda, senza forti divergenze, verso un'unica direzione. Per questo è importante comunicare tra giudici e allevatori, partecipare numerosi alle speciali, dibattere apertamente i problemi della razza; per questo ci siamo impegnati a realizzare quest'oneroso Annuario; per questo dedico anima e corpo alla SABI, ben consapevole che ad una razza prodotta principalmente da tanti piccoli allevamenti amatoriali, solo un'efficiente Società Specializzata può dare un forte contributo migliorativo mantenendo omogeneità di tipo. <O:p Pubblicai recentemente un libro sul bracco con il preciso intento di illustrarne la storia rimuovendo quelle errate interpretazioni che, come fumose incrostazioni, potevano alterare quel bellissimo ed interessante affresco rappresentante il passato del nostro prediletto fermatore.Passai quindi a commentare nei capitoli successivi gli standard morfologico e di lavoro per chiarire quei punti che potevano rimanere di incerta interpretazione. Per la stesura di un'opera tanto delicata volli consultarmi anche con Paolo Ciceri e Giambattista Benasso, membri del comítato tecnico SABI, persone dí cui nutro la massima stima e dal cui pensiero e competenza non si può prescindere qualora si desideri approfondire un aspetto relativo alla nostra razza. Oggi a quasi tre anni di distanza, anche se niente è immutabile ed ogni giorno ci si arricchisce di nuove esperienze, nulla potrei smentire di quanto espresso nel mio libro. Nel frattempo la vena non si è inaridita e molti lavori importanti sul bracco sono stati riportati da riviste specializzate mentre le due prime edizioni dell'annuario sono apparse come un bel saggio del sapere cinofilo; al già citato volume di Massimo Scheggi si affiancherà inoltre un nuovo libro su bracco e spinone scrittoda Giambattista Benasso, Ho avuto la fortuna di leggere il testo dattiloscritto di quest'opera e vi assicuro che Benasso, da buon naturalista e storico della scienza come si autodefinisce, farà ben meditare anche molti addetti ai lavori. Ritengo che il volume, che sarà pubblicato tra breve dall'Editore De Vecchi, potrà fornire un contributo decisivo all'evoluzione delle nostre due razze da ferma. Spigolando tra tutti questi scritti a volte ho notato affermazioni e concetti che a prima vista possono sembrare contrastanti e non in linea con lo standard o a quella che si può ritenere la sua più corretta interpretazione. Non mi riferisco a certi articoli poco professionali che sporadicamente appaiono su riviste di caccia e che rivelano sovente luoghi comuni sul bracco, retaggio di cattiva informazione su uno stato della razza o su un modo d'allevare ormai superato da tempo, o concetti degni di una sottocultura venatoria che nulla ha da spartire con il corretto utilízzo delle razze da ferma e tantomeno del bracco italiano; così come non voglio prendere in considerazione certe immagini scadenti di soggetti in atteggiamenti atipici che troppo spesso ci vengono offerte sulle medesime pubblicazioni. La SABI non può censurare la stampa e se si dovesse ribattere ad ogni fesseria cheviene detta o pubblicata suI bracco non basterebbe un difensore impegnato a tempo pieno! Riprenderò invece alcuni concetti espressi da tecnici o importanti cultori della razza come spunto per chiarire il mio o il loro stesso pensiero e creare quell'unità di vedute che, come già detto, deve essere alla base del processo selettivo ed evolutivo che tutti noi vogliamo imprimere al bracco. Nessuna polemica quindi, ma solo volontà di chiarezza!
La cerca del Bracco <O:p Cominciamo a parlare del lavoro del bracco, in particolare della cerca. Facendo scorrere gli Annuari '88 e '89 si nota che diversi Autori trattano o sfiorano in diverse occasioni l'argomento cerca. Alcune affermazioni di Ciceri, Bonasegale, Benasso e Garozzo sembrano esprimere posizioni diverse. Bonasegale giustamente pretende coraggio e atletismo e da sempre, riferendosi alla caccia e alle prove su starne, si esprime in favore di una cerca più estesa possibile svolta con lacet tesi; si evince chiaramente che il termine tesi sta ad indicare non tanto un percorso svolto su diagonali perfettamente rettilinee, ma piuttosto tensione, continuità. assenza di flessioni o dettagli in un'azione non scevra di fantasia e intelligenti divagazioni; è sempre chiara in lui la preoccupazione che il bracco spinto nella competizione e lavorato con mezzi coercitivi diventi meccanico, monotono, robotizzato. Garozzo teme addirittura che il bracco, a furia di spingere sull'acceleratore, non abbia più il tempo di pensare e quindi anche di fermare. Ciceri poi, riferendosi alle origini della razza afferma che il lavoro del bracco non è con cerca marcatamente estesa. Benasso, non si pone certo su posizioni conservatrici come taluno poteva attribuirgli, e rifacendosi all'evoluzione della razza ricorda come questa si formò sotto la rete con cerca ristretta, ma ebbe il suo rilancio grazie alla intensa frequentazione delle prove in cui recentemente si creò il mito del bracco da grande cerca: dinamico, avido, essenziale nell'azione, in cui il trotto non sarà mai abbastanza radente, veloce, lungo e spinto! Pretendere un'azione alla grande in una prova su starne dove la nostra razza non deve assolutamente sentirsi in soggezione alle altre, superando qualsiasi remora legata a un passato che fortunatamente ci siamo lasciati alle spalle, è logico e doveroso; indubbiamente è assurdo trovare giustificazioni od allargare la manica verso quei soggetti che dimostrano scarsa preparazione o che non sanno affrontare con coraggio e personalità questi cimenti. Gli stessi autori citati, indipendentemente da quanto traspare dai loro scritti, chiamati a giudicare casi reali sul terreno delle prove, non avrebbero opinioni diverse. Tra loro vi è forse un atteggiamento diverso nei confronti di giudici e allevatori. In Ciceri traspare la preoccupazione che attraverso la ricerca di prestazioni sempre più spinte venga a modificarsi la psiche del nostro fermatore e venga snaturata la razza, mentre Bonasegale è ancora più esplicito: Attenti Signori Giudici che date CAC e CACIT a un bracco italiano con trotto travolgente, ma sempre uguale, che mai divaga, mai rallenta, attenti a non fare ai bracchi italiani quello che già avete fatto ai setter. <O:p La responsabilità dei giudici Giustissimo tirare in ballo i giudici: non è certo a mio avviso la formula della grande cerca che ha portato certi danni alle razze inglesi, quanto piuttosto il comportamento di alcuni giudici che, accecati dalla velocità supersonica o dalla prestazione fine a se stessa, hanno voluto assegnare le massime qualifiche a soggetti molto carenti di stile, di equilibrio e di tutte quelle doti che nel complesso formano un cane da ferma. Ai giudici è devoluta una grande responsabilità, siano essi sempre consapevoli di ciò e si comportino a dovere. Alla Società Specializzata il compito di aggiornarli e sensibilizzarli; ben venga quindi quest'annuario, come i dibattiti o le tavole rotonde e tutte quelle iniziative idonee a far conoscere le caratteristiche della razza e i problemi legati al momento che questa sta attraversando. Non si considerino le prove come una competizione, ma come un fatto zootecnico, utile a dare indicazioni all'allevamento e trasmettere concetti, idee ed esperienze attraverso il confronto diretto di una percentuale più alta possibile di soggetti. A questo punto mi torna in mente un episodio a cui assistetti diversi anni fa’ e che reputo interessante ricordare. Mi trovavo ad una Speciale Bracchi in giuria plurima con Paolo Ciceri. Un soggetto aveva da poco iniziato il turno svolgendo una onesta prestazione allorchè Ciceri sentenziò: A casa. Questo bracco è troppo brutto ! La sua decisione lasciò sorpresi gli astanti. Da parte mia condivisi pienamente la brutale sentenza: quel bracco brutto morfologicamente, sgraziato nelle movenze, ancorchè cacciatore non rivestiva infatti alcun valore per l'economia della razza. Il giudizio di Ciceri, nessuno potrebbe dubitarne, era quindi dettato dalla sua grande esperienza zootecnica ed era una lezione di comportamento chi ha perso di vista la funzione delle manifestazioni cinotecniche per il miglioramento del patrimonio canino! Altro esempio che può meglio chiarire su quali basi deve essere fondato il criterio di giudizio soprattutto in prova classica a starne è come certe grandi prestazioni molto simili per quanto riguarda percorso, continuità, ferma, correttezza ecc. vengano qua1ificate con M.B. o CAC: la differenza è fatta dalla classe e dalle qualità di razza, elementi sostanzali in un concetto di allevamento zootecnico! Prima di concludere vorrei raccomandare ai nostri validissimi preparatori di operare, non tanto per nascondere ì difetti dei loro soggetti , quanto piuttosto per esaltame le qualità, secondo lo stesso principio che vieta di truccare i cani da presentare alle mostre, mentre richiede appropriata presentazione nel ring. <O:p Trotto e costruzione Massimo Scheggi, nel già citato libro "Il bracco italiano a caccia e alle prove", a un certo punto del capitolo trotto perchè, dopo essersi inserito non senza un filo dì accento polemico in un argomento sul quale sono stati spesi fiumi d'inchiostro, saggiamente per trarsi d'impiccio afferma: Io temo piuttosto che mentre parliamo a lungo (troppo e troppo anch'io) di queste cose, passano le beccacce e noi non le abbiamo neppure viste...ma poi rincara la dose pubblicando una prolissa elucubrazione di Mario Buroni che critica la nuova stesura dello standard con argomentazioni cervellotiche e spesso contraddittorie e..così anche il povero lettore si perde tutto il passo delle beccacce trovandosi in testa una gran confusione su questioni che forse già non gli erano molto chiare! Questo scritto era stato deliberatamente ignorato dalla SABI per non gettare altra benzina sul fuoco di una polemica a cui erano già state date delle precise risposte tecniche su "I nostri cani" e che finalmente si poteva ritenere conclusa con la pubblicazione del nuovo standard. Mi guardo bene dal tediare il lettore ribattendo punto per punto i contenuti di questo scritto, del resto la mia posizione, finora condivisa da tutti i maggiori tecnici e non in contrasto con gli standard di razza, è esaurientemente espressa, come già detto all'inizio, nel volume "Il bracco italiano"che scrissi tre anni or sono. Sciogliamo però un equivoco, rammentando che contrariamente a quanto vuole insinuare Buroni, i contenuti del mio libro rispecchiano il pensiero dell'autore, come pure gli scritti di quest'annuario non devono essere presi come comunicazioni ufficiali della SABI. Al di fuori di qualsiasi polemica, mi interesserebbe capire se secondo Buroni la groppa del bracco deve essere avvallata come sosteneva una volta concordando con il vecchio standard del Solaro o piuttosto orizzontale come sembra la sua attuale posizione. (Per non cadere in equivoci ricordo che Solaro considera orizzontale una groppa quando il cosciale è da 15° a 25° ed avvallata quando l'obliquità dello stesso raggiunge i 35°‑40°). Bonasegale, stanco di queste disquisizioni, a pag. 71 della prima edizione dell'annuario, taglia corto forse con troppa superficialità, affermando: "..io non cercherò di spiegare perchè il bracco trotta (l'han già fatto in tanti, ma nessuno mi ha mai convinto del tutto). lo do per scontato che trotta ... e non vi rompo le scatole con l'inclinazione della groppa, le angolazioni articolari misurate in gradi i e un sacco di roba di dubbia utilità. Io vorrei spiegare come, secondo me deve trottare il bracco italiano." Qui c'è una contraddizione. Se vogliamo spiegare non perché trotta il bracco, ma come trotta, se vogliamo chiarire da cosa anche proviene il trotto da motorinocui fa riferimento lo stesso Autore, dobbiamo riferirci inequivocabilmente alla sua costruzione e quindiall'inclinazione delle spalle, della groppa e alle angolazioni degli arti. Sono voluto entrare in questi argomenti perchè vi è una questione che, seppure già espressa alle pagg. 223‑224 del mio già citato volume, desidero ribadire perchè si riallaccia a quanto viene precedentemente trattato in questi appunti e sarà di grande attualità prossimi anni. Siamo d'accordo che storicamente il bracco poteva essere considerato cane dalla cerca ristretta, svolta al trotto con buona velocità e testa portata alta. Il periodo più recente e il futuro (leggi Benasso) ci hanno portato e ci porteranno verso un bracco capace di prestazioni alla grande, con trotto spinto alle maggiori velocità possibili. La storia ci ha quindi tramandato un bracco con groppa piuttosto inclinata e posteriore poco angolato, ma già da diversi anni assistiamo a una modifica graduale di queste caratteristiche. Nello standard volutamente non sono stati fissati certi angoli e misure degli arti, siamo in un momento storico di evoluzione in cui possiamo accettare una certa variabilità. Vediamo bracchi che trottano in modo diverso e fanno questo non solo per differenze caratteriali, ma perchè presentano costruzioni diverse. Abbiamo un tipo vecchio stampo con groppa inclinata a più di 30° e angoli relativamente aperti con trotto veloce, a rapide battute; ma oggi sempre più frequentemente vediamo alle prove soggetti modernicon groppe lunghe, di inclinazione anche inferiore a 30°, raggi ossei più lunghi e maggiori angolazioni che permettono di raggiungere al trotto velocità entusiasmanti. Potrei fare molti esempi, mi limito a citare due grandi campioni che potevano essere considerati agli estremi opposti, due cani di un passato abbastanza recente, due grandi trottatori, ma che trottavano in maniera diversa: Silva dei Ronchi e Fer. Ciascuno di voi potrebbe divertirsi a fare due lunghi elenchi tra i quali si collocano anche molti casi intermedi. C'è sicuramente un'evoluzione verso il tipo Fer, per me è giusto incoraggiarla purchè la si ottenga selezionando in purezza e senza rinunciare ad altre caratteristiche tipiche e sempre apprezzate della nostra razza. Ancora una volta, meditando su questi aspetti, si vede come il compito dei giudici sia determinante: la loro sensibilità, la capacità di saper valutare globalmente il cane in tutti i suoi contenuti (funzionali e morfologici, fenotipíci e genotipici), la capacità di saper vedere anche ciò che si intravvede, danno un alto significato ad un giudizio che deve essere sempre inteso in funzione dell'allevamento. <O:p Su tutto e su tutti deve poi porsi l'allevatore: questa figura è l'artefice del futuro, il creatore delle nuove generazioni, colui che dalla cinofilia ufficiale saprà trarre tutti i suggerimenti per amministrare la razza e renderla sempre migliore.
Antonio Grazie!!!gli scritti riportati sono una boccata d'aria fresca
Questo è il bracco cane robusto,concreto e generoso.
Lucio permettimi una considerazione,sono Pugliese ma per passione trascorro diversi mesi l'anno in montagna dalla Romagna,ai contrafforti Abruzzesi(ho consumato scarponi su scarponi sul monte Marsicano)passando per le cime Austriache,e posso sinceramente dire una cosa: tu dici che gli alpini devono essere robusti per portare pesi ma i maratoneti non ne hanno bisogno.
Ho visto maratoneti andare sui sentieri,leggerini agili,ti sorpassano e....dopo mezzora li riacchiappi scoppiati!!!hanno il fiato ma le ginocchia non reggono,le caviglie tremano etc.etc.
Ho visto dei pazzi portare dei purosangue arabi sulle mulattiere per ritrovarli con i cavalli mezzi zoppi dopo mezza giornata,e i muli piegavano le orecchie sornioni....
La montagna non è fatta per la velocità ma per la resistenza,gli animali di montagna sono robusti,solidi,forti e costanti poi se uno vuole arrivare sui prati in cresta in fuoristrada e sganciare il cane per una corsa di un paio d'ore e chiamarla caccia faccia pure,ma la MIA montagna(non ci ho mai cacciato per semplici ragioni amministrative ma l'ho vissuta)e fatta di salite fatte a buio per essere sui crinali dopo quattro ore almeno di salita(rifuggo come la peste le funivie e fosse per me dovrebbero toglierle tutte)dove in vetta non trovi ne bar ne fontane ne rifugi riscaldati ma vento,rocce,sete e sbalzi termici da crepare la pelle.Zaini in cui ti devi portare di tutto e.....notti passate con un sacco a pelo addossato alle rocce a guardare le stelle e battere i denti dal freddo....ma quanta felicità!
Per questa montagna,ci vogliono ossa,muscoli e cuore,sia per i cristiani che per i cani!
Bracconi imbolsiti e linfatici che fanno fatica a respirare servono a poco anche in capitanata dove a trovare una salita ci vorrebbe un miracolo.
Ma animali sani e robusti vanno ovunque.Saranno sorpassati in velocità dagli inglesi,ma va bene così!
Ps:i setter che ho visto in montagna erano mediamente più massicci di quelli che si vedono in genere qui in Puglia,perchè?
Va aggiunto che il modello dovrebbe rispecchiare un tipo ideale che possa garantire la massima funzionalità, ossia una meta verso cui deve tendere l'allevamento,
Il nuovo standard approvato dal Consiglio Direttivo dell'ENCI è stato redatto dal Comitato dei Giudici dell'Ente stesso su una proposta messa a punto dal Direttivo della SABI che a suo tempo aveva interpellato il proprio Comitato Tecnico, dopo aver informato tutti i Soci con circolare 003 del 12 luglio 1988
cioé 21 anni fa con in sostanza la sola modifica dell'angolo della groppa,
da allora......silenzio.
Riguardo ad alcune caratteristiche, come già in passato, lo standard prevede un certo margine di variabilità attraverso il quale l'allevatore, a mo' d'artista, può imprimere il proprio marchio di fabbrica ai suoi prodotti, ma ricordiamoci bene che lo standard del bracco è molto dettagliato
un po' di variabilità ?? il 60 per cento é un po' ??
la differenza fra un'automobile ed un camion
altro che marchio di fabbrica, qui si cambia addirittura "genere"
se secondo Buroni la groppa del bracco deve essere avvallata come sosteneva una volta concordando con il vecchio standard del Solaro o piuttosto orizzontale come sembra la sua attuale posizione. (Per non cadere in equivoci ricordo che Solaro considera orizzontale una groppa quando il cosciale è da 15° a 25° ed avvallata quando l'obliquità dello stesso raggiunge i 35°‑40°)
il Solaro il Pastrone ai loro tempi erano dei padreterni, ma anche le loro definizionio si cambiano
ma dopo basta ?? non c'é altro da modificare ?? .
Se vogliamo spiegare non perché trotta il bracco, ma come trotta, se vogliamo chiarire da cosa anche proviene il trotto da motorino cui fa riferimento lo stesso Autore, dobbiamo riferirci inequivocabilmente alla sua costruzione e quindi all'inclinazione delle spalle, della groppa e alle angolazioni degli arti
eravamo in Andalusia, si correva la coppa europa continentali, il povero Luigino Bottani ed il compianto Banchellli, ed il sottoscritto vennero invitati ad assistere ad una prova di Perdigueros de Burgos, Luigino e Banchelli , con me che traducevo, si misero a commentare la costruzione dei cani, di uno concordemente dissero, ha una costruzione che non gli permette di trottare , é fatto male,
.
Messi i cani sul terreno, quello mal costruito era l'unico che trottava........... ci facemmo quattro risate e commento' Banchelli,che era un burlone -ha ragione lui (il cane), non lo sa che non puo' trottare e trotta lo stesso.....................
Ursusarctos, parlare a me di montagna é un invito a nozze, ci abito in mezzo ed ho passato la vita a scarpinare cacciando coturnici e bianche, non mi risulta affatto che personaggi magri e nervosi si stanchino presto, guarda tutte le corse in montagna e dimmi se ce ne é uno solo, ripeto uno solo , che sia corpulento, qui proprio ti sbagli.
D'altra parte il rapporto peso potenza e le leggi della fisica , (gravità) non favoriscono i "grossi" magari fra i rocciatori troverai personaggi compatti , ma in genere sono di corporatura snella . guarda Messner, e gli altri alpinisti da 8000 metri, guarda nel ciclismo come sono gli scalatori a confronto con i passisti.
Se invece gli metti addosso un sacco di 20/30 kg. allora il discorso cambia perché percentualmente graverà di piu' su un uomo leggero di 70 kg che su uno di 80.
Negli alpini , quando ancora c'era l'arruolamento regionale, i magri erano alpini ed i "grossi" in artiglieria di montagna, e non solo gli uomini, anche i muli si dividevano in categorie, i grossi a portar pesi ed i piu' agili ad accompagnare gli alpini con pesi ridotti.
E gli ufficiali avevano in dotazione dei cavallini, avelignesi (o haflinger) che erano solidi e piccini adatti alla montagna. mai visto cavalloni.
Elaboriamo i dati personali degli utenti del nostro sito, attraverso l'uso di cookie e altre tecnologie, per fornire i nostri servizi, personalizzare la pubblicità e analizzare l'attività del sito. Potremmo condividere determinate informazioni sui nostri utenti con i nostri partner pubblicitari e di analisi. Per ulteriori dettagli, fai riferimento alla nostra Informativa sulla privacy.
Facendo clic su "ACCONSENTO" di seguito, accetti i nostri Informativa sulla privacy e le nostre pratiche relative al trattamento dei dati personali e ai cookie come ivi descritte. Riconosci inoltre che questo forum potrebbe essere ospitato al di fuori del tuo Paese e acconsenti alla raccolta, archiviazione ed elaborazione dei tuoi dati nel Paese in cui è ospitato questo forum.
Commenta