Considerando che tutto sia perfettibile, specialmente quando di “de gustibus” si tratta ed ancor più quando si tratti del nostro amato “policoquinario” cinghiale, abbiamo voluto tenere in considerazione alcune piccole sfumature prese da altrui esperienze, nostre esigenze digestive e (perché no?) la curiosità di fare qualcosa di un ciccinino “nuovo”.
Ingredienti:
• 1,5 Kg di polpa macinata grossa di cinghiale ben frollato e pulito. Qualche costina del medesimo “fornitore”, tagliata corta, non sfigurerebbe!
• Burro 50 g
• Pancetta tesa (rigatino) 100 g a listarelle
• Una grossa cipolla bianca
• due scalogni
• due spicchi d’aglio
• un rametto di timo, 5 bacche di ginepro, 5 foglie di salvia, una foglia di alloro
• 100 ml di olio evo.
• 200 ml di vino bianco (noi abbiamo il Prosecco/Cartizze sempre pronto!)
• Un bicchierino di gin
• Brodo di carne (anche di estratto) q.b.
• 200 g di concentrato di pomodoro (avevamo dell’ottimo Mutti”)
• una bella grattata di noce moscata
• sale, pepe o peperoncino alla fine, se graditi
Abbiamo optato per l’uso del tritacarne (con i buchi più grossi), senza pentimento alcuno, memore dell’esperienza natalizia quando, tritando “al coltello” una quantità analoga di cinghio, ho subito la nemesi del suide rimediando una fastidiosa, tuttora perdurante epicondilite!
Tritata la cipolla, gli scalogni e due spicchi d’aglio abbiamo soffritto il tutto con l’olio, il burro, la pancetta, sino alla trasparenza della stessa in una acconcia classica pentola di “coccio”. Unita la carne si è provveduto ad una accurata rosolatura rigirando il tutto. Abbiamo sfumato con il vino ed il gin aggiungendo la salvia, il timo e l’altre spezie.
Asciugata la carne abbiamo unito il concentrato di pomodoro diluito in un po’ di brodo caldo rimescolando con cura e salando con giudizio. Una grattugiata di noce moscata e via alla cottura a fuoco basso, con coperchio, rigirando spesso ed aggiungendo un po’ di brodo se necessario.
La cottura si è protratta per quasi quattro ore, senza premura alcuna, vegliando i due suidi, parenti ma qui in diversa misura e con l’antico, rassicurante abbraccio del tradizionale coccio.
Tutto qui: semplice, semplice. Non è risultato “pomodoroso” come in molti lamentano nella preparazione dei tradizionali ragù perché il “concentrato” è molto meno sapido ed aspro; il gusto tipico della selvaggina non è stato minimamente sopraffatto e senza alcuna marinatura ed aiuto di Demetra e Dioniso.
Buonissimo sulle pappardelle ma neanche ha sfigurato con i “pennoni” rigati…anzi! [:D]

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