Debbo ammettere che il problema delle differenti reazioni ai traumi anche estremamente invalidanti dei vari selvatici mi ha sempre intrigato ed incuriosito. Le risposte non mi sono state date da nessuna autorità accademica in termini di fisiologia applicata e l’altra fisiologia applicata del buon senso quand’anche provenienti da colleghi e veterinari seguaci di Diana.
Mi spiego meglio.
Una belva colpita da un agente balistico…venatorio di adeguato calibro, struttura e peso di palla, con velocità atta a portare sul bersaglio energia cinetica sufficiente si comporterà in modi che spesso risulta difficile spiegare con le logiche traumatiche cui siamo abituati in termini venatori e non solo. Senza volere scomodare delle esagerazioni “relative” circa prestazioni da “carica cava” su un cinghio, capriolo o cervo che, disintegrato, non permetterebbe alcuna ulteriore “discussione”, mi sentirei di fare un raffronto circa le motivazioni che permettono alla nostra preda, diversamente colpita, di rifiutarsi pervicacemente di fermarsi sul posto e darsela a gambe per tratti più o meno stupefacenti.
Non voglio contemplare le impossibilità alla fuga per distruzione…strutturale, ma solo l’intervallo che si infrappone tra il trauma balistico e la cessazione delle attività vitali che, poi sarebbe quello che ci aspetteremmo e definiremmo “abbattimento pulito”, venatoriamente auspicabile e da tutti noi ricercato.
I miei stupori ebbero inizio quando da neofita della carabina in occasione dei primi abbattimenti di caprioli, ed ancor più di cervi, con comportamenti a me inspiegabili, di prosecuzione stupefacente della fuga, a fronte degli esami “autoptici” effettuati poi personalmente sulla spoglia che mi lasciavano stupefatto, sbriciolando i miei concetti emodinamici quando mi ritrovavo tra le mani cuori letteralmente esplosi, totalmente azzerati nella loro fisiologica funzione emodinamica. Ricordo un gatto in Serbia, in aperta campagna, al rientro serale, che il guardiacaccia mi chiese di abbattere come previsto dalle loro leggi venatorie. Sparai con il .270 Win 130 grs a 15 m e, complice l’altezza dell’asse ottico, la breve distanza e le dimensioni del bersaglio pensai di averlo padellato quando il felino schizzò via di corsa per una buona decina di metri. Frizzi e lazzi della compagnia seduta sulla Jeep. Ricaricai e ripetei il colpo questa volta a 25 m o giù di lì. Andai a dare un’occhiata per la macabra curiosità di cosa avessi combinato e, con mia sorpresa, trovai sul primo “anschuss” tutte le viscere toraco addominali dell’incauto micio. Quello cui indirizzai il secondo colpo era il resto del gatto, la parte neuro-osteo-artro-miologica ed i pelosi degumenti.
Per contro tutte le ferite neurologiche di una certa importanza (encefalo, midollo spinale cervicotoracico prossimale) e colpi iuxta neurologici (collo e parti ossee delle prime vertebre toraciche) causavano il pressochè immediato abbattimento e decesso sull’anschuss.
Su questa estinzione delle funzioni vitali a seguito del trauma neurologico diretto sull’encefalo o trasmesso via midollo e liquido cefalorachidiano con onde idrostatiche particolarmente violente non c’era e non c’è discussione.
E allora? Quali le mie convinzioni maturate sulle motivazioni degli spesso mancati spegnimenti ricercati con centri perfetti, al blatt, alla spalla, considerando pur sempre le condizioni individuali del colpito?
La mia spiegazione razionale e fisiopatologica.
Il cervello umano, come si può evincere da quanto riporto qui di seguito, ha una capacità di resistenza all’ischemia (mancanza di flusso ematico quindi anossia) di pochi secondi (5-6 a seconda dei soggetti) prima che si assista al…collasso nervoso, perdita di coscienza ed alla conseguente incapacità di comando e qualsiasi effettuazione somatica.
CONSUMO OSSIGENO DA PARTE DEL CERVELLO UMANO
Il cervello umano consuma il 20 per cento dell’ossigeno assorbito e trasportato dai globuli rossi.
Tra i cervelli dei vertebrati, quello umano ha di gran lunga il primato del consumo di ossigeno; i cervelli degli altri vertebrati consumano in media dal 2 a un massimo dell’8 per cento dell’ossigeno fissato dai globuli rossi.
Il cervello umano è attraversato in 24 ore da circa 2160 litri di sangue, pari a circa 40 volte la massa del sangue stesso.
Cento grammi di cervello assorbono da 600 a 800 ml di ossigeno al minuto.
Ne consegue che il cervello delle nostre prede abbia una ben maggiore resistenza alla mancanza di perfusione ematica, quindi di apporto di O2, fors’anche una ben maggiore capacità di metabolismo anaerobico, proprio come avviene nei neonati della specie umana che sopportano anossie cerebrali di gran lunga maggiore degli stessi più cresciuti. Condizione prevista dalla natura per resistere ad eventuali stress ipossici durante il parto.
Quindi se concediamo ad una preda emodinamicamente spacciata una funzione cerebrale residua di una ventina di secondi, o forse più, potremmo dare una spiegazione razionale ad un fatto altrimenti inspiegabile.
IMH
Oizirbaf
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